Terapia - Disordine mentale

Il curioso paradosso è che quando mi accetto per come sono, allora posso cambiare

Carl Rogers

In questo blog abbiamo parlato spesso di Accettazione, soprattutto nei post che trattano l’ACT, Acceptance and Commitment Training . Ma molte persone si rassegnano ad una perdita o ad un evento negativo, convinte di praticare l’Accettazione.

Accettazione e rassegnazione non sono la stessa cosa, anche se, a volte, i due termini siano usati in modo intercambiabile.

Quando siamo rassegnati, ci sentiamo sopraffatti e completamente impotenti, mentre quando l’accettiamo siamo connessi con quello che c’è, riconosciamo la verità dei fatti con consapevolezza e compassione.

La rassegnazione nega il presente che delude fortemente le sue aspettative e considera il passato la causa di ciò che è e che non accetta. La rassegnazione se la prende con il passato che considera non all’altezza della sua aspettativa.

L’accettazione accoglie ciò che c’è con dolore, poiché non corrisponde alle sue aspettative, ma lo esplora, lo guarda, cerca di conoscerlo a fondo per capire cosa può fare, Questo processo non è indolore, ma utilizza il dolore come leva per l’esplorazione. per la ricerca di un senso.

Accettando di guardare in profondità e affrontare la natura della sofferenza, ci apriamo  alla consapevolezza interiore, spingendoci oltre le reazioni automatiche che ci porterebbero a fare di tutto per evitare le esperienze difficili. E’ un approccio completamente diverso che aiuta a guardare ai dolori, alle perdite, ai problemi da un’altra prospettiva. E paradossalmente lo allevia, come se creasse uno spazio tra se ed il dolore, cosa che invece nella rassegnazione manca, anzi c’è una fusione con il dolore, si è talmente fusi che l’unica via d’uscita è scappare, collassare nell’impotenza.

La Rassegnazione è passiva, l’Accettazione è attiva

Nell’accettazione ci si focalizza sui fatti, su quello che c’è, li si riconosce, comprese le sensazioni spiacevoli ad essi associate, ci si pone come fossimo degli osservatori, esploratori curiosi, alla ricerca di conoscenza, come se l’obiettivo è aumentarne la conoscenza fino negli aspetti più intimi. Tale frequentazione ci fa entrare nella dimensione dell’accoglienza, della cura, del rispetto, della speranza che fa nascere nuove ipotesi, E tutto ciò ci proietta in un atteggiamento di proattività, alla ricerca di una via da seguire. Mentre lavoriamo sull’accettazione, scopriamo di avere sempre un certo grado di libertà, di pensare, di immaginare, di sognare, di chiedere aiuto, di poter confrontarsi con gli altri, scambiare qualche risata, condizione ben lontana dall’essere completamente sopraffatti.

La rassegnazione, invece, vede solo l’aspettativa irrimediabilmente delusa, e ciò induce ad un sentimento di totale impotenza, di rabbia di risentimento. Ci predispone alla ricerca del colpevole, per recriminare su ciò che colpevolmente non è stato fatto, è stato omesso, o non è stato fatto che si doveva.

E di fronte a tale constatazione che il passato è passato, nulla si può fare, ci si deve arrendere, rinunciare,  non reagire in alcun modo. In più ci si sente soli, perché nessuno può capire!

Così finiamo per sprofondare nello sconforto e non osiamo nemmeno  chiedere aiuto perché abbiamo paura di essere un peso. Rassegnarsi induce ad un atteggiamento di passività e di negazione. Rassegnarsi, a volte, è anche un alibi per non accettare le responsabilità che inevitabilmente la vita ci pone.

L’accettazione è liberatoria, a differenza della rassegnazione

 Rassegnarsi a una data situazione significa  che non c’è niente che puoi fare, sei impotente. La rassegnazione ci fa trattenere il respiro, come fossimo in apnea. Anche se ci diciamo cose come “va bene così com’è”, “non c’è niente da fare”, in realtà stiamo resistendo a ciò che accade.

D’altra parte, quando accettiamo una situazione dolorosa, lasciamo andare la resistenza e/o la negazione e ci connettiamo con la sofferenza, la guardiamo in faccia, e decidiamo cosa e come fare. Pertanto, a differenza della rassegnazione, l’accettazione è un’esperienza attiva che può essere molto liberatoria. L’accettazione ci fa respirare ci fa riempire i polmoni di aria pulita. L’accettazione presuppone una  crescita lenta ma costante, che può portare a cambiamenti positivi a lungo termine.

L’Accettazione richiede impegno

L’accettazione richiede uno sguardo sull’esistente e su ciò che si può fare per il futuro, e ciò comporta più forza, impegno, focalizzazione e motivazione. La rassegnazione volge lo sguardo al passato, uno sguardo recriminatorio, carico di rimprovero e risentimento verso ciò che colpevolmente non è stato fatto o non è stato fatto bene. Ed ora non c’è più niente da fare, inutile impegnarsi!

L’accettazione è forse una delle cose più difficili da praticare, implica l’alternarsi dentro di noi di paura e coraggio, ci confronta con la propria capacità di rinunciare al controllo delle emozioni più cupe, dalla tristezza alla rabbia, dalla frustrazione alla vergogna, e sollecita la capacità di riconoscerle e dargli un senso.

Poiché provare certe emozioni non è piacevole, molte persone vogliono evitarle. Ma così facendo, si negano l’opportunità di sperimentare un modo alternativo (e più ecologico) di affrontare  eventi dolorosi, che è la pratica del cambiamento, fare diverso, guardare in modo diverso.

L’accettazione è l’opzione migliore, ma non può essere forzata dagli altri o da noi stessi.  Deve invece venire da noi stessi e dalla consapevolezza che le emozioni, anche  dolorose, fanno parte di noi. Accettare se stessi e accettare le situazioni della vita così come sono, anche se non vanno nella direzione desiderata, non può portare a negare emozioni spiacevoli come tristezza, rabbia, paura, ecc. Questa non è una vera accettazione. La nostra anima è poliedrica e tutte le emozioni hanno una ragione per la loro esistenza.

L’Accettazione significa prendere atto che la realtà è come è.

 Essa, infatti, implica la necessità di guardare in profondità e affrontare la natura della sofferenza. Imparare a sviluppare l’auto-compassione e trovare vie d’uscita è una cosa difficile, ma molto gratificante. Pertanto, come abbiamo detto, l’accettazione è attiva e costruttiva, ci predispone a riconoscere, accogliere e dare senso, con sguardo compassionevole, anche i momenti di disperazione in cui ci autocommiseriamo e ci sentiamo vittime.

Il ciclo dell’Accettazione secondo E. Kubler Ross

Elisabeth Kubler Ross ha elaborato nel 1970 un “modello a cinque fasi”, che permette di capire le dinamiche mentali più comuni della persona cui si è diagnosticata una malattia terminale. In seguito è stato trovato valido anche quando si debba elaborare un lutto affettivo o ideologico: la perdita di una persona cara, un divorzio, qualsiasi evento che venga soggettivamente considerato una grave perdita. Ecco il modello:

Lo schema dell'accettazione secondo Kubler Ross
Modello a cinque fasi di E. Kubler Ross

Nel corso della vita, sperimentiamo molte situazioni dolorose; questo può essere causato da esperienze significative, relazioni o dipendenze.

I bambini possono subire il divorzio dei genitori, una moglie può piangere la morte del marito, un adolescente può piangere la fine di una relazione, o qualcuno può ricevere una diagnosi medica di una malattia incurabile che predispone al lutto per l’attesa della propria morte.

Riguardo allo schema, Kübler-Ross sostiene che queste fasi non sono lineari e che alcune persone potrebbero non provarne nessuna. Tuttavia, altri potrebbero esperire solo due stadi piuttosto che tutti e cinque, o anche solo uno, tre e via dicendo.

Ciò che è emerso anche dalle ricerche più recenti è che questi cinque stadi del dolore sono i più comunemente osservati e sperimentati dalle persone che vivono una situazione di dolore o lutto.

Rifiuto

Il rifiuto o negazione è un passo che può inizialmente aiutare la vittima ad affrontare la perdita: potrebbe pensare che la vita non abbia significato, o che sia troppo opprimente.

Quando viene diagnosticata una malattia terminale, si potrebbe iniziare a pensare che le notizie siano errate; un errore di laboratorio, uno scambio di provette e via dicendo.

Nella fase di negazione non si vive la “realtà”, piuttosto una “realtà vagheggiata”. In questa fase la negazione aiuta a fronteggiare e sopravvivere all’evento doloroso. L’atteggiamento generale è “Non è possibile”.

La reazione iniziale che abbiamo nel momento in cui dobbiamo affrontare una perdita che causa intenso dolore è una reazione di difesa: si tenta di difendersi da una grande sofferenza, negandola. La negazione di quanto accaduto è quindi una reazione allo stato di shock dovuto alla perdita.

Rabbia

Nel momento in cui ci si rende conto della concretezza della perdita, si inizia a provare rabbia; molti si chiedono cosa abbiano fatto di sbagliato per meritare tanta sofferenza, altri provano rabbia verso cose, persone e con la vita stessa.

L’atteggiamento è “perché proprio io?”, oppure “la vita è ingiusta”. Si potrebbe iniziare a dare la colpa agli altri per il dolore che si vive, e re-indirizzare la rabbia verso amici e familiari.

La direzione della rabbia verso qualcosa o qualcuno è ciò che potrebbe riportare il soggetto alla realtà e connettersi di nuovo con le persone. È qualcosa a cui aggrapparsi, un passo naturale in avanti verso la guarigione.

Negoziazione

La persona comincia a verificare cosa può fare e in quali progetti può investire la speranza, cominciando una specie di negoziato che, a seconda dei valori personali, si può instaurare con parenti e amici, o con figure religiose. “Se prendo le medicine, crede che potrò…”, “Se guarisco, poi farò…”. Con questo, la persona riprende il controllo della sua vita e cerca di riparare il riparabile.

In questa fase iniziano una serie di valutazioni interne, con l’obiettivo di comprendere di quali risorse si disponga e come si possa iniziare a investire emotivamente in qualcos’altro.

Lo scopo è quello di provare a riprendere il controllo della propria vita focalizzandosi su altro, come: nuovi progetti, nuove relazioni e nuovi scopi.

Depressione

La persona comincia a prendere consapevolezza delle perdite che ha subito o sta per subire. Si incomincia a prendere coscienza che la ribellione non è possibile, per cui la negazione e la rabbia vengono sostituite da un forte senso di sconfitta. Quanto maggiore è il dolore della perdita, tanto più probabile è che la persona viva fasi di depressione.

Accettazione

L’ultima fase del dolore identificata da Kübler-Ross è l’accettazione. Non nel senso che: “va tutto bene, mio marito è morto”, per esempio, quanto piuttosto “mio marito è morto, ma io potrò stare bene ugualmente”.

In questa fase, le emozioni iniziano pian piano a stabilizzarsi e vi è un ritorno alla realtà. Si acquisisce consapevolezza della situazione attuale, come ad esempio che il vostro compagno o compagna non tornerà mai più, o che soccomberete alla malattie, ma riuscirete a sentirvi “bene”, nonostante tutto.

L’accettazione significa che si è riusciti a comprendere e integrare la perdita, voltando questa dolorosa pagina. Voltare pagina non vuol dire strapparla via dalla propria esperienza esistenziale, pertanto non significa dimenticare, ad esempio, quella persona cara e/o non provare più dolore.

L’accettazione comporta il riuscire ad andare avanti nonostante questa sofferenza, donando un senso alla perdita. Si continuerà quindi ad esperire sia dei momenti di felicità che di tristezza, ma in un modo sempre più integrato ed equilibrato.

Firma Maria e Fabrizio
Condividi!

Articoli simili

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *