Citazione Victor Frankl
 
Per continuare a dare un senso alla propria vita nei “momenti no” è importante mantenere viva la speranza e la capacità di resilienza.
 

Per trattare questo tema cercheremo di imparare qualcosa da chi, privato della propria libertà, ha coltivato la speranza nonostante tutto, nonostante fosse internato in un Lager.

 
Il Modellamento, in PNL, consiste nel “condensare” una capacità o una performance (in questo caso, la capacità di continuare a sperare in condizioni drammatiche) in una serie di strategie, di convinzioni di supporto e di altri elementi, in modo da renderla riproducibile da chiunque voglia impararla.
 
 
I punti di vista e il modo di affrontare le cose in circostanze così estreme possono essere utili: adottandoli e facendoli nostri, possiamo imparare a mantenere sempre viva la speranza nella nostra vita quotidiana.
 

Dare un senso alla propria vita: Victor Frankl e la volontà di significato

La storia comincia nel 1942, quando Victor Frankl, psichiatra austriaco di origini ebree, fu deportato in un campo di concentramento, pochi mesi dopo essersi sposato.
 
 
Uno psicologo nei Lager: dare significato alla vita
Le citazioni del post sono
tratte da questo libro
Da questa sua esperienza nasce il libro Uno psicologo nei lager, in cui Frankl analizza la sua esperienza nei lager, osservando se stesso e i suoi compagni di prigionia.
 
In seguito, Frankl fondò la Logoterapia, detta la Terza Scuola Viennese, dopo quelle di Freud e di Adler, che si distingue dalle precedenti perché individua la motivazione principale dell’uomo non nel principio del piacere o nella volontà di potenza, ma nella volontà di significato, nel desiderio di trovare un senso e uno scopo per la propria vita.
 

Chi arrivava nel Lager subiva innanzitutto lo choc dell’accettazione, la sensazione che queste cose terribili non stessero veramente succedendo, che questa non fosse per davvero la nuova situazione.

Ingresso del lager di Auschwitz
Ingresso del lager di Auschwitz
 
Teniamo conto della situazione in cui i prigionieri si trovavano: spogliati di tutti i loro averi e ricordi, senza più notizie dei loro familiari, irritati dall’ingiustizia che stavano subendo, senza forze, abbruttiti dalla fame, costretti a camminare per chilometri in un freddo intensissimo per recarsi nei “cantieri” a lavorare con turni massacranti, con la possibilità, sempre presente, che qualche Kapò o qualche SS si divertisse a sfogare il loro sadismo su di loro, sfiniti da “adunate” in cui dovevano rimanere in piedi all’aperto per ore, a volte sotto la pioggia, a volte per tutta la notte… Quale libertà rimane ad un uomo che vive in queste condizioni?
 
 

Eppure un certo grado di libertà c’era. Secondo Frankl, esistevano  comunque delle alternative:

Ed esistevano veramente, le alternative! Ogni giorno, ogni ora passati nel Lager offrirono mille spunti per questa decisione interna: la decisione dell’uomo che soccombe o reagisce alle potenze dell’ambiente, che minacciano di rubare quanto egli ha di più sacro: la sua libertà interna.

Tutti noi che abbiamo vissuto l’esperienza dei campi di concentramento ricordiamo prigionieri che passavano di baracca in baracca per confortare gli altri, o che donavano l’ultimo pezzo di pane ad un compagno. Magari erano una minoranza, ma rappresentavano comunque la dimostrazione che persino un individuo spogliato di tutto conserva un’ultima libertà umana: anche nelle circostanze più estreme possiamo ancora scegliere il nostro atteggiamento, la nostra strada.

 
In un’occasione particolarmente drammatica, in una giornata che i prigionieri passarono a digiuno per punizione, Frankl venne chiamato  a tenere un discorso ai suoi compagni di prigionia, per aiutarli a passare quelle ore interminabili.
 

Mantenere viva la speranza, anche negli eventi negativi

Frankl aveva individuato quattro convinzioni forti, caratteristiche di coloro che, nei Lager, continuavano a sperare, e ne parlò ai suoi compagni di prigionia:

  1. Qualunque cosa possa essere stata persa, potrà essere recuperata
  2. Il futuro è sconosciuto, può portare in qualsiasi istante miglioramenti nella situazione
  3. Le esperienze del nostro passato rimangono sempre con noi, e nessuno al mondo ce le potrà togliere
  4. Occorre farsi una prefigurazione del proprio futuro, in cui si è responsabili verso qualcosa o qualcuno
     
Nel momento in cui stava parlando, Frankl stimava che le probabilità di uscire vivi dal lager fossero del 5% circa, e lo disse ai suoi compagni. Ma, nello stesso tempo, disse che nessuno conosce il futuro, nessun uomo sa cosa potrà portargli l’ora successiva: magari l’inclusione in un gruppo di lavoro a condizioni particolarmente favorevoli? L’esperienza personale di ognuno degli ascoltatori confermava queste sue parole.
 
Quanto hai vissuto, nessuna potenza del mondo può togliertelo. Ma non solo ciò che abbiamo vissuto, anche ciò che abbiamo fatto, ciò che di grande abbiamo pensato e ciò che abbiamo sofferto. Tutto ciò l’abbiamo salvato rendendolo reale, una volta per sempre. E se pure si tratta di passato, è assicurato per l’eternità.
 
Quando fu internato, Frankl aveva sposato da pochi mesi una donna che amava moltissimo. Durante una marcia forzata all’alba, al freddo, con scarpe di fortuna, si ritrovò a pensare a lei e a fantasticare:
 
Parlo con mia moglie. La sento rispondere, la vedo sorridere dolcemente, vedo il suo sguardo, il suo sguardo brilla più del sole che si leva in questo momento.
 
In quel momento Frankl capì che anche quando all’uomo non resta niente, può sperimentare una gioia profonda, anche se solo per qualche attimo, attingendola dalle esperienze passate.
 
 
Per gli internati era molto importante pensare ad un futuro. Frankl, a volte, durante una delle tante, terribili esperienze, riusciva a distanziarsene pensando che in futuro ne avrebbe parlato in una conferenza: immaginava se stesso nel ruolo di relatore davanti ad un pubblico di psicologi.
 
Spinoza sosteneva che una sofferenza cessa di essere una sofferenza non appena ce ne facciamo un idea chiara e distinta. In queste circostanze Frankl, facendosi un’idea chiara e distinta della propria sofferenza, immaginando di raccontare ciò che lo tormentava a dei colleghi, con il distacco tipico dello studioso, ne ricavava qualche sollievo.
 
 
Anni dopo, nei suoi libri, Frankl descrisse l’auto-distanziamento come un modo di fronteggiare le avversità. Questo non è altro che ciò che in PNL chiamiamo dissociazione, l’esperienza di vivere la propria vita come se la vedessimo dall’esterno di noi stessi.
 
Un altro metodo di auto-distanziamento molto praticato nei Lager era l’umorismo e l’autoironia, anche se può sembrare strano: nelle situazioni più estreme e disperanti fioccavano scherzi e battute di spirito.
 
Oppure, anche il godere delle bellezze della natura era un modo per allontanarsi, per un poco, dalla propria sofferenza. In un’occasione tutta la camerata si alzò da letto e uscì nella neve per assistere ad un tramonto particolarmente toccante.
 
Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda il dominio della morte, si, ma vedo anche uno spicchio di cielo,
 
Chi non sa credere in un futuro, in un suo futuro, in campo di concentramento è perduto.
 
 
La perdita della speranza in un futuro si accompagna ad un crollo immediato ed improvviso: ben presto la persona non si preoccupa più di nulla: non si alza da letto, non lo spaventano le violenze o altri castighi, non cerca di procurarsi da mangiare. In poche parole, si arrende.
 
Un compagno di Frankl aveva creduto di aver avuto, in sogno, la rivelazione che il 30 di marzo del 45 sarebbe uscito dal lager. La data della profezia si avvicinava sempre più e le vicende del fronte facevano sembrare inverosimile che quella data avrebbe potuto portare alla liberazione. Il 29 marzo l’uomo fu preso da una febbre altissima, il 30 marzo prese a delirare e perse coscienza. Il 31 dello stesso mese era morto.
 
 
Del resto, tra il natale ‘44 e il capodanno ‘45 si ebbe un’impennata della mortalità nei prigionieri: e questo fu probabilmente dovuto ad il fatto che molti prigionieri avevano nutrito la speranza (basate sulle notizie dell’andamento della guerra) di poter essere liberi e tornare a casa per Natale. Speranza che tuttavia i fatti disattesero.
 
Quindi la speranza mantenuta viva negli insegnamenti di Frankl non è un generico ottimismo, l’idea che le cose andranno meglio per loro conto: al contrario è un’assunzione di responsabilità, una serie di decisioni che, pur nelle pochissime possibilità di decidere qualcosa che rimaneva ai prigionieri di un Lager, determinava un atteggiamento che permetteva loro di continuare a vivere.

Chi ha un perché della propria vita, sopporta qualsiasi come

 
Verso la fine della sua prigionia, in uno dei pochissimi momenti in cui si trovò ad operare come medico per i suoi compagni ammalati di tifo petecchiale, Frankl, con altri nella sua medesima situazione, progettò una fuga dal campo.
 
Come medico poteva fare ben poco per i suoi ammalati, mancando medicine e altri supporti: però si prendeva cura di loro, e faceva del suo meglio per favorirne la guarigione.
 
Da quando aderì al progetto di fuga, cominciò a domandarsi che fine avrebbero fatto i suoi malati, quando neppure lui si sarebbe occupato di loro. Queste preoccupazioni gli causarono uno stato di continuo malessere, che si dissolse solo quando decise di abbandonare il progetto di fuga.
 

Approfondimenti:

 
 

Due compagni di prigionia di Frankl dicevano spesso che non si aspettavano più nulla dalla vita; ma Frankl sosteneva che la vita attendeva qualcosa da loro.

Risultò infatti che uno dei due era atteso con trepidazione dal figlio che si trovava all’estero.

L’altro, invece, non aveva nessuno, ma l’attendeva la sua opera: una collana di testi che doveva essere portata a termine. Quest’uomo era indispensabile per quell’opera, nessuno avrebbe potuto sostituirlo, proprio come l’altro era insostituibile e indispensabile nell’amore per il figlio.
Ognuno di noi è indispensabile e insostituibile per qualcosa e questo costituisce la responsabilità che abbiamo della nostra vita. 
 
 
Qui troviamo un altra analogia con la PNL: questa tensione ad auto-trascendersi ricorda i più elevati dei “livelli logici” della PNL: il livello della Mission, che riguarda che cosa stiamo a fare in questo mondo, e il livello Spirituale, caratterizzato dal contributo che la persona dà a qualcosa di più grande di se stessa, un qualcosa che va oltre le sue vicende personali.
 
Non chiediamo infatti più il senso della vita, ma sentiamo di essere sempre interrogati, come gente alla quale la vita pone continuamente delle domande, ogni giorno e ogni ora, domande alle quali ci tocca rispondere, dando una risposta esatta, non solo in meditazioni e parole, ma con un’azione, un comportamento corretto.
 
 
Vivere, in ultima analisi, non significa altro che avere la responsabilità di rispondere esattamente ai problemi vitali, di adempiere i compiti che la vita pone a ogni singolo, di far fronte all’esigenza dell’ora.
 

In un suo famoso studio Daniel Kahneman (di cui abbiamo parlato nel post Come prendere decisioni), vincitore del premio Nobel per l’economia, chiese a un certo numero di persone di fare il resoconto di una tipica giornata di lavoro, descrivendola episodio per episodio e valutando quanto fosse stato piacevole o spiacevole ogni singolo momento. Egli scoprì quello che pare un paradosso nella concezione che molti degli intervistati avevano della loro vita: prendete per esempio le attività che riguardano l’accudimento di un bambino.

Kahneman constatò che, nel bilancio tra momenti di gioia e di fatica, crescere un figlio si rivelava una faccenda piuttosto spiacevole. Infatti consiste in gran parte nel cambiare pannolini, lavare piatti, governare capricci e bizze: cose che nessuno ha voglia di fare.

Eppure quasi tutti i genitori dichiarano che i figli sono la loro principale fonte di felicità.

Significa forse che la gente si inganna? E’ una delle possibilità. Un’altra, come mostrano i risultati dello studio, è che la felicità non sia una prevalenza di momenti piacevoli rispetto a quelli spiacevoli. Essa consiste piuttosto nel percepire la propria esistenza nella sua interezza come qualcosa di importante e di valido. Come disse Nietzsche, se hai un motivo per vivere, puoi sopportare praticamente ogni cosa.

Una vita che abbia senso può essere molto soddisfacente anche in mezzo alle difficoltà, mentre una vita senza senso è un travaglio terribile, per quanto confortevole essa sia.

 
In questi anni inquieti, in cui ci sembra che manchi la promessa di futuro, Victor Frankl ci ricorda che il significato della nostra vita dipende da noi, dalla nostra capacità di fare delle scelte coerenti con i nostri valori nel presente.
 
Questo implica assumersi responsabilità e impegno, perché ognuno di noi è libero di assumere un atteggiamento proprio nei confronti di qualunque condizionamento o situazione.
 

Maria Soldati e Fabrizio Pieroni


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