Ammettere i propri errori indebolisce?

cane che nega

Abbiamo l’impressione che molte persone darebbero una risposta positiva a questa domanda. E’ difficile parlare delle proprie debolezze e dei propri errori; molti pensano che, così facendo, svaluterebbero se stessi o regalerebbero ai loro avversari argomenti validi per sopraffarli.

Noi pensiamo invece che riconoscere i propri punti deboli e i propri errori sia producente, anche in termini di immagine di sé.

C’è un presupposto della PNL che dice:

Chi comunica è responsabile al 100% dei risultati che ottiene o non ottiene.

Detto in altri termini, la comunicazione è ciò che arriva, non ciò che parte: non conta l’intenzione di chi comunica, ma i risultati che ottiene.

Naturalmente questa non è una cosa “vera”; se l’ascoltatore si mette in una posizione di chiusura assoluta, non ci sarà niente da fare, per quanto efficace possa essere chi comunica.

Come tutti i presupposti della PNL è un “come se”: facciamo come se chi comunica fosse responsabile al 100% dei risultati che ottiene o non ottiene. Partire da questo presupposto porta, naturalmente, a migliorare la propria comunicazione.

Questo principio induce a considerare tutte le incomprensioni tra me e il mio interlocutore come una mia responsabilità.

Dove responsabile non significa colpevole, ma “abile a rispondere”.

Responsabilità

Per una maggior efficacia

Assumersi la responsabilità porta ad aumentare la propria efficacia.

responsabilità e impegno

E’ quindi questo l’obiettivo del principio della comunicazione sulla responsabilità: aumentare la propria efficacia, non “fustigarsi”.

Tra l’altro ognuno di noi parte da questo presupposto nelle relazioni a cui tiene. Se sto cercando di persuadere mio figlio, supponiamo, ad impegnarsi negli studi, non mi sentirò giustificato dicendomi: “Non ha capito, non vuole capire”. Ce la metterò tutta per spiegarmi nel modo più efficace possibile, in modo da raggiungere il mio obiettivo.

Del resto non possiamo cambiare gli altri, i loro comportamenti e le loro reazioni: possiamo solo cambiare il nostro comportamento.

La cultura degli alibi

Assumersi la responsabilità porta ad aumentare l’efficacia anche in campo sportivo, vedi  Julio Velasco, notissimo allenatore di pallavolo, sulla “cultura degli alibi”.

 

Ammettere i propri errori è un’assunzione di responsabilità

Riconoscere i propri punti deboli, i propri errori, le proprie insufficienti capacità in un determinato ambito, significa guardare in faccia la realtà con coraggio. Significa  che si ha un’idea chiara di quello che non va e, pur avendo un po’ di paura, ci si rende conto che solo avendone un’idea chiara c’è la possibilità di migliorare e di rimediare.

A volte riconoscere  i propri punti deboli è problematico non solo davanti agli altri, ma anche davanti a se stessi. Anche davanti a se stessi alcuni pensano di dover fornire sempre un’immagine positiva di sé, “censurando” gli aspetti che non piacciono.

(tratto da Integrare il proprio lato oscuro)
Da bambini impariamo che al mondo ci sono due tipi di persone: quelle buone e quelle cattive. Di conseguenza, ci impegniamo a mostrare le nostre qualità positive e cerchiamo con tutte le forze di nascondere quelle negative.
Quindi  per essere accettati nascondiamo gli aspetti indesiderabili di noi stessi, anche se questo, a volte, significa mentire.
Dal momento che mentiamo a noi stessi riguardo ad alcune parti di noi, l’unico modo per ritrovarle è vederle negli altri, che ci rimandano l’immagine riflessa delle nostre emozioni nascoste, e questo ci permette di riconoscerle e riappropriarcene.
Se l’arroganza di qualcuno mi offende, è perché non sto accettando la mia stessa arroganza. Un’arroganza che manifesto senza accorgermene, o che potrei manifestare in futuro.

Sicuramente darebbe risposta positiva alla domanda contenuta nel titolo un’altissima percentuale dei componenti della classe politica, soprattutto quelli degli ultimi anni: non amano molto riconoscere i propri errori. Probabilmente pensano di dare così l’idea di essere molto efficienti, ma è un calcolo sbagliato. 

Sia i gregari di Berlusconi che di Renzi si erano specializzati nel dire, nelle loro dichiarazioni pubbliche: “Noi abbiamo fatto questo. Certamente si poteva fare di più o di meglio, ma comunque…”

Un atteggiamento di questo genere vorrebbe implicare il fatto di essere pronti a correggersi e a migliorare quello che si è fatto, ma non è così. Quando si dice “Probabilmente qualche errore l’abbiamo fatto…” senza precisare quale errore, rimanendo nel generico, in pratica non si è disponibili a mettersi in discussione.

L’importanza dell’essere specifici è sottolineata da John Whitmore nel suo libro Coaching.
Innanzitutto distingue il piano del giudizio dal piano della descrizione: gli elementi descrittivi aggiungono valore, quelli critici lo sottraggono.

Inoltre non basta stare sul piano della descrizione: se la descrizione è generica, non serve a niente: è importante uscire dal generico quando si dà un feedback a qualcuno.

Descrivere, non giudicare
Descrivere, non giudicare

Non serve a niente dire ad un tiratore che ha mancato il bersaglio. Gli può invece essere utile sapere che il suo tiro è andato tre centimetri più in basso rispetto a centro del bersaglio, se deve fare una correzione.

Dopo i seguaci di Berlusconi e Renzi, siamo arrivati ai politici dell’attuale governo giallo-verde per i quali ammettere un errore sembra addirittura un’onta inaccettabile: gli errori li hanno fatto i governi precedenti, e solo loro.

Tratto da Indossiamo tutti una maschera?
Quando ci si sforza di presentare agli altri un’immagine falsa, si tende ad avere comportamenti esagerati, un po’ teatrali, che vengono notati, almeno inconsapevolmente. Ad esempio, chi vuole apparire sicuro di sé, di solito, è una persona che ha bisogno di mostrarlo, nel tentativo di compensare come si sente realmente.

Le persone che hanno più bisogno di approvazione ottengono di meno e le persone che hanno meno bisogno di approvazione ottengono di più (Wayne W. Dyer)

Da un punto di vista comunicativo, la rivelazione di se stessi si può distinguere in:
1. Rappresentazione di sé voluta, che è l’immagine che vogliamo dare di noi. Da questo punto di vista, siamo tutti come dei venditori che vanno in giro a reclamizzare il loro brand
2. Rivelazione di sé non voluta, che passa attraverso componenti della comunicazione che non riusciamo a controllare, come in questa immagine:

Incongruenza

Quando una persona ammette i propri errori presenta già una soluzione: è consapevole di cosa non va e si impegnerà nel migliorare.
Se invece non li ammette, oppure li ammette solo in modo generico, quello che ha fatto è il suo massimo, lo difende a spada tratta e non riuscirà mai a fare meglio.

Maria Soldati e Fabrizio Pieroni
 
 

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