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In questo post parleremo di come la capacità di immaginare, di inventare e raccontare storie ci abbia permesso, come specie, di diventare i dominatori del nostro pianeta.

La storia che vogliamo raccontare parte da lontano, da quando i nostri progenitori, i primi Homo Sapiens, abitavano l’Africa Orientale. Nello stesso periodo l’Europa era abitata dai Nearderthal, le regioni più orientali dell’Asia erano popolate da Homo Erectus, nell’isola di Flores viveva l’Homo Floresiensis (alto circa 1 metro e pesante 25 kg.), in Siberia sono stati trovati i resti dell’Homo Denisova.

Da circa due milioni di anni fa e fino a circa 10.000 anni fa, la Terra ospitava, contemporaneamente, diverse specie umane, che avevano alcune caratteristiche in comune: cervello sviluppato, andatura eretta, uso di utensili, uso del fuoco.

Le diverse specie vennero occasionalmente in contatto, come dimostra il fatto che il DNA delle attuali popolazioni europee e medio orientali contiene tra l’1 e il 4% di DNA Nearderthaliano, e fino al 6% del DNA degli attuali malesi e aborigeni australiani è il DNA che proviene dai Denisova.

Tuttavia, a parte occasioni di incontro e accoppiamenti occasionali, quando i Sapiens si stabilivano in un nuovo territorio la specie nativa dopo un po’ si estingueva. Quale fu il segreto del successo dei Sapiens?

Per rispondere a questa domanda faremo riferimento al bellissimo libro Sapiens. Da animali a dèi: Breve storia dell’umanità(una storia dell’umanità che consigliamo a tutti: una lettura che cambia molti punti di vista che diamo per scontati) dello storico israeliano Yuval Noah Harari, che spiega come, a fare la differenza, sia stata una caratteristica molto specifica del nostro linguaggio.

Libri di Yuval Noah Harari

La capacità di immaginare

QUOTETuttavia la caratteristica davvero unica del nostro linguaggio non è la capacità di trasmettere informazioni su uomini e leoni. E’ piuttosto la capacità di trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto. Per quanto ne sappiamo, solo i Sapiens sono in grado di parlare di intere categorie di cose che non hanno mai visto, toccato o odorato. 

Leggende, miti, dèi e religioni comparvero per la prima volta con la Rivoluzione cognitiva. In precedenza molti animali e molte specie umane erano in grado di dire: “Attento! Un leone!”. Grazie alla Rivoluzione cognitiva, Homo sapiens acquisì la capacità di dire: “Il leone è lo spirito guardiano della nostra tribù.” Tale capacità di parlare di fantasie inventate è il tratto più esclusivo del linguaggio sapiens. 

E’ relativamente facile concordare sul fatto che solo Homo sapiens può parlare di cose che non esistono veramente e mettersi in testa storie impossibili appena sveglio. Non riuscirete mai a convincere una scimmietta a darvi una banana promettendole che nel paradiso delle scimmiette, dopo morta, avrà tutte le banane che vorrà. 

Ma come mai è così importante? Dopotutto la finzione può essere ingannevole o pericolosa. Chi vaga per la foresta alla ricerca di fate e unicorni avrà certo meno chance di sopravvivenza rispetto a chi ci va per trovare funghi e cervi. E chi passa ore a pregare inesistenti spiriti guardiani, non spreca tempo prezioso che sarebbe meglio dedicare a cercare cibo, a combattere o a fornicare? 

Il punto è che la finzione ci ha consentito non solo di immaginare le cose, ma di farlo collettivamente. Possiamo intessere miti condivisi come quelli della storia biblica della creazione, quelli sul Tempo del Sogno elaborati dagli aborigeni australiani e quelli nazionalisti degli Stati moderni. 

Questi miti conferiscono ai Sapiens la capacità senza precedenti di cooperare in maniera flessibile e in comunità formate da moltissimi individui. Anche formiche e api possono lavorare insieme in comunità numerose, ma lo fanno in forme estremamente rigide e solo all’interno di strette parentele.  I lupi e gli scimpanzé cooperano in maniera molto più flessibile rispetto alle formiche, ma lo possono fare solo con gruppi ristretti di altri individui che conoscono intimamente. 

I Sapiens sono in grado di cooperare in modi estremamente flessibili con un numero indefinito di estranei. Ecco perché governano il mondo, mentre le formiche mangiano i nostri avanzi e gli scimpanzé sono rinchiusi negli zoo o nei laboratori di ricerca.

Un plotone di trenta soldati o persino una compagnia di cento soldati possono funzionare sulla base delle relazioni personali, con un minimo di disciplina formale.
Un sergente rispettato può diventare un punto di riferimento ed esercitare un’autorità anche maggiore di quella degli ufficiali. Una piccola azienda di famiglia può sopravvivere e prosperare senza un consiglio d’amministrazione, un amministratore delegato o altri organi formali.

Ma una volta oltrepassata una certa soglia, le cose non funzionano più nella stessa maniera. Non si può comandare una divisione con migliaia di soldati nello stesso modo in cui si comanda un plotone. Le aziende di famiglia si trovano di solito in crisi quando diventano più grandi e assumono altro personale: se non riescono a reinventarsi, falliscono.

Come ha fatto Homo sapiens ad attraversare questa soglia critica, arrivando a fondare città con decine di migliaia di abitanti e poi imperi che governavano centinaia di milioni di persone? Il segreto sta probabilmente nella comparsa della finzione. Grandi numeri di estranei riescono a cooperare con successo se credono in miti comuni. 

Per costruire piramidi, per fare guerre che coinvolgono centinaia di migliaia di persone, per fare funzionare le società di oggi occorre credere, di volta in volta, nella schiavitù, nelle leggi, nella patria, nell’aldilà, nella democrazia, nei diritti umani, nei brand…

QUOTE

Qualsiasi cooperazione umana su vasta scala — si tratti di uno stato moderno, di una chiesa medievale, di una città antica o di una tribù arcaica — è radicata in miti comuni che esistono solo nell’immaginazione collettiva. Le chiese sono radicate in miti religiosi comuni. 

Due cattolici che non si siano mai incontrati prima possono ugualmente partire insieme per una crociata o raccogliere fondi per costruire un ospedale, perché entrambi credono che Dio si sia fatto carne e sangue e si sia sacrificato sulla croce per redimere i nostri peccati. Gli stati si fondano su miti nazionali condivisi. 

Due serbi che non si siano mai visti prima possono rischiare la propria vita l’uno per l’altro perché credono entrambi nell’esistenza di una nazione serba, nella madrepatria serba e nella bandiera serba. 

I sistemi giudiziari sono radicati in miti legali comuni. Due avvocati che non si siano mai incontrati prima possono, nonostante questo, concertare i propri sforzi per difendere un perfetto estraneo, perché hanno fede nell’esistenza delle leggi, della giustizia e dei diritti umani — e nel denaro pagato per le loro parcelle. 

Eppure nessuna di queste cose esiste al di fuori delle storie che le persone si inventano e si raccontano vicendevolmente. Nell’universo non esistono dèi, non esistono nazioni né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nell’immaginazione comune degli esseri umani. 


Non si fa fatica a capire che i “primitivi” cementano il proprio ordine sociale attraverso la credenza in fantasmi e spiriti, raccogliendosi a danzare intorno al fuoco nelle notti di luna piena. Quello che stentiamo a capire è che le nostre moderne istituzioni funzionano esattamente sugli stessi presupposti. Si consideri per esempio il mondo delle grandi società finanziarie. I moderni uomini d’affari e avvocati sono, in realtà, potenti stregoni contemporanei. La differenza principale tra loro e gli sciamani tribali è che gli avvocati moderni raccontano storie assai più bizzarre.

 
I Neanderthal erano massicci e muscolosi, si adattavano meglio al clima freddo che allora c’era in Europa, avevano anche un cervello più grande del nostro. In una rissa uno contro uno, un Neanderthal avrebbe probabilmente battuto un Sapiens.
 
Ma in un conflitto tra centinaia di individui, i Neanderthal non avrebbero avuto alcuna chance. I Neanderthal riuscivano a condividere informazioni sulla posizione dei leoni, ma probabilmente non sapevano raccontare — e modificare — storie sugli spiriti tribali. 
 
Non essendo capaci di comporre narrazioni che prescindevano dalla realtà, i Neanderthal non potevano cooperare efficacemente all’interno di comunità numerose, né potevano adattare il proprio comportamento sociale a situazioni che cambiavano continuamente. 
 

Costruire narrazioni che funzionino non è facile. La difficoltà non consiste tanto nel raccontare una storia, quanto nel convincere gli altri a crederla vera. Gran parte della Storia (quella con la S maiuscola) gira intorno a questa domanda: come convincere milioni di persone a credere a narrazioni specifiche circa gli dei, le nazioni o le società a responsabilità limitata? E tuttavia, quando ci si riesce, ciò conferisce ai Sapiens un immenso potere, perché fa sì che estranei cooperino e agiscano in direzione di obiettivi comuni. 

 

La potenza dell’immaginazione

 

Le tecniche di visualizzazione creativa utilizzano l’immaginazione per raggiungere obiettivi. L’immaginazione è la capacità di creare un’idea, un’immagine mentale o un sentimento nella mente,

Tiri a canestro

sperimentando l’esperienza come se stesse già succedendo. Questo genere di visualizzazioni aiuta a raggiungere l’obiettivo che si è visualizzato, ed è utilizzata anche in campo sportivo.

Diversi studi scientifici hanno mostrato come la ripetizione mentale di una determinata azione, che può essere immaginare di fare canestro a basket o fare centro al tiro con l’arco, poteva produrre risultati superiori anche del 50% rispetto al gruppo che non aveva praticato nessuna visualizzazione.

L’immaginazione visiva condivide con la percezione reale diverse caratteristiche. Ad esempio, il tempo impiegato per scrutare  con gli occhi una scena visiva coincide con quello impiegato per limitarsi ad immaginarla. Una serie di studi di brain imaging hanno dimostrato che quando immaginiamo una scena visiva attiviamo regioni del nostro cervello che sono normalmente attive durante la percezione reale della stessa scena.

Secondo la PNL  per formulare correttamente un obiettivo occorre descriverlo in termini  “sensorialmente basati”. Il linguaggio sensorialmente basato è caratterizzato dall’utilizzo di termini:

  • che riguardano immagini (visivi),
  • che riguardano suoni e parole (auditivo)
  • che riguardano sensazioni (cenestesico)
  • e dall’assenza di concetti astratti (come «successo», «armonia», «comunicazione», ecc.).

La nostra mente lavora tanto meglio quanto più l’obiettivo è specifico dal punto di vista sensoriale.  
Per ottenere una formulazione sensorialmente basata, occorre rispondere alle domande: qual è l’immagine con cui ti rappresenti il raggiungimento dell’obiettivo? Descrivila. Dove sei? Ci sono altre persone? Si sentono suoni? C’è un dialogo interno? Che sensazioni ti procura questa immagine?

Queste attenzioni nella formulazione di un obiettivo sono molto importanti: se non riesci a rappresentarti sensorialmente un obiettivo, non riuscirai nemmeno a raggiungerlo.

Nel 1999 è stato effettuato uno studio sulle visualizzazioni, condotto su delle matricole dell’Università della California (“From Thought to Action: Effects of Process-Versus Outcome-Based Mental Simulations on Performance”). Le matricole, una settimana prima di un esame, sono state divise in due gruppi:

  • il primo gruppo ha visualizzato mentalmente il risultato desiderato, come ottenere un buon voto;
  • il secondo gruppo ha visualizzato internamente il processo per ottenere un buon risultato, come avere buone abitudini di studio.
I risultati hanno indicato che il secondo gruppo ha ottenuto risultati migliori, attraverso una  migliore pianificazione e una riduzione dell’ansia.
 
Questo studio sembra indicare che non è tanto importante visualizzare l’obiettivo da raggiungere, ma il processo, ciò che occorre fare per raggiungerlo.
 

Struttura delle narrazioni

 
Nella storia del mondo, gli sciamani, i profeti, i filosofi hanno intuitivamente utilizzato il racconto per istruire e comunicare.
 

Alcune opere, che fanno parte della letteratura folcloristica dei popoli, hanno chiaramente un scopo di insegnamento: le favole di Esopo, il Panchantra indiano, le parabole della Bibbia, le narrazioni di Budda, le storie chassidiche, i racconti ispiratori dei Sofisti. Questi esempi dimostrano l’importanza delle narrazioni per tramandare una cultura, dei costumi, dei mezzi di comunicazione con Dio, insomma dei punti di riferimento per conoscere se stessi e l’universo.

Joseph Campbell, studioso di mitologia e religione comparate, constatò che in tutte le culture da lui esaminate erano presenti alcuni miti largamente condivisi, tra cui “Il viaggio dell’eroe”, di cui delineò gli stadi fondamentali. Abbiamo già trattato la tematica del Viaggio dell’Eroe:

Tutti abbiamo avuto problemi più o meno gravi nel corso della nostra esistenza e, in qualche modo, li abbiamo superati. Ecco perché quando scorgiamo le tracce del viaggio dell’eroe in qualche opera narrativa, cinematografica o teatrale abbiamo una sensazione di familiarità che ce la fa apprezzare. Ogni persona può identificarsi nell’eroe (o nell’eroina) e adattarlo alla sua personale esperienza di vita. Il viaggio ci presenta personaggi archetipici che in molti casi ognuno di noi ha incontrato nel corso della propria vita.

I miti arcaici indirizzano le storie di cui si nutre la cultura contemporanea, come ha documentato lo scrittore Christopher Vogler:
 
 
le tappe del viaggio dell'eroe
Le tappe del viaggio dell’eroe
 
  1. La chiamata dell’avventura  esprime la necessità di fare qualcosa per sfuggire a una situazione insostenibile (o almeno percepita tale).
  2. Il rifiuto della chiamata esprime la paura dell’eroe di fronte ai rischi che l’avventura comporta.
  3. L’incontro con il mentore esprime la necessità di prepararsi al viaggio attraverso un incontro in cui l’eroe può dotarsi delle risorse che gli mancano per affrontare l’avventura.
  4. Il superamento della prima soglia esprime il superamento del mondo ordinario e l’ingresso nel mondo dell’avventura dal quale si tornerà cambiati. Il superamento della soglia comporta anche lo scontro con i guardiani della soglia che tenteranno di ostacolare l’eroe.
  5. Prove, alleati e nemici  esprime l’ingresso nel mondo straordinario dove l’eroe dovrà superare svariate prove. Si tratta di un territorio emotivo dove l’eroe dovrà individuare alleati e nemici.
  6. L’avvicinamento alla caverna più profonda esprime gli ultimi preparativi dell’eroe per affrontare la prova centrale dell’avventura.
  7. La prova centrale  esprime la sfida più importante che dà un senso a tutta l’avventura.
  8. La ricompensa  esprime il momento in cui l’eroe, dopo essere sopravvissuto alla morte, avanza pretese sulla sua ricompensa.
  9. La via del ritorno  esprime la necessità di una scelta per l’eroe: restare nel mondo straordinario o iniziare il viaggio di ritorno verso il mondo ordinario. Dal punto di vista psicologico rappresenta la volontà dell’eroe di tornare nel mondo ordinario per mettere in pratica le lezioni apprese in quello straordinario.
  10. La resurrezione  esprime la necessità, per l’eroe, di allontanare da sé l’odore della morte, alla quale è scampato, per reinserirsi “mentalmente purificato” nel mondo ordinario.
  11. Il ritorno con l’elisir  esprime il dono per la società che l’eroe porta con sé dall’avventura vissuta.
(tratto da Pensiero critico)
 

Narrazioni e storytelling

 

Questo argomento è molto vasto,  visto che l’uomo, da sempre, racconta quindi delle storie: anche prima di usare le parole, l’uomo delle caverne raccontava, con gesti e grugniti, le sue avventure di caccia.

Il racconto di una storia è un potente strumento di motivazione individuale, ma, come abbiamo visto, è anche uno strumento mediante il quale le persone possono coordinare il proprio impegno in vista di un obiettivo condiviso.

Lo storytelling è una metodologia che usa la narrazione come mezzo creato dalla mente per inquadrare gli eventi della realtà e spiegarli secondo una logica di senso (definizione Wikipedia)

A partire dagli anni Novanta del Novecento, negli USA come in Europa, la capacità narrativa è stata trasformata dai meccanismi dell’industria dei media e dal capitalismo globalizzato nel concetto di storytelling: una potentissima arma di persuasione nelle mani dei guru del marketing, del management, della comunicazione politica per plasmare le opinioni dei consumatori e dei cittadini. (Christian Salmon)

Da alcuni anni lo storytelling è entrato prepotentemente nella gestione delle imprese. Esso si propone di sostituire agli “argomenti” delle “storie” per guidare le strategie aziendali.

StorytellingSecondo i sostenitori di questo punto di vista i leaders aziendali possono acquisire credibilità e autenticità presso i clienti raccontando la loro storia personale e quella della loro azienda. Essi possono esprimere al meglio i valori aziendali e motivare i loro dipendenti con delle storie che li guidino verso nuovi traguardi.

 
 

La crescita del tenore di vita nel mondo occidentale degli ultimi decenni ha inoltre lentamente modificato l’approccio al consenso politico/elettorale.

Da un punto di vista politico ciò ha permesso la nascita di un “mercato elettorale” al quale i partiti hanno risposto modificando la propria comunicazione in un’ottica di approccio più emozionale: allo stesso tempo il diffondersi della televisione commerciale ha favorito alcune trasformazioni della politica nel senso della sua spettacolarizzazione e personalizzazione.

Maria e Fabrizio
 


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