vagare per la stanza in cerca degli occhiali, perché non ricordate dove gli avete posati?
ricordare che avreste dovuto comprare questo o quello, non appena rientrati a casa?
dimenticare il codice del Bancomat proprio quando dovreste pagare alla cassa del supermercato, magari quando c’è un mucchio di gente che aspetta?
di non riuscire a ricordare il nome di una persona che avete incontrato, pur conoscendola benissimo?
Di fronte ad episodi del genere siamo soliti incolpare la nostra mancanza di memoria, ma forse sarebbe più corretto attribuire queste défaillance ad una mancanza di presenza mentale. Cercheremo di spiegarlo, partendo da un po’ più lontano.
Oggi più che mai abbiamo quasi rinunciato a considerare la nostra memoria qualcosa di affidabile, e deleghiamo, sempre di più, a computer, tablet, smartphone e supporti cartacei, il compito di ricordare le cose.
Questo atteggiamento rinunciatario è alla base della difficoltà di molti a ricordare i nomi. Queste persone, sapendo o credendo di avere questa difficoltà, quando vengono presentate a qualcuno non ascoltano neppure il nome:
Perché cercare di ricordare il suo nome? Tanto, so già che non me lo ricorderò. Meglio che risparmi la mia memoria per altre cose.
Questo ragionamento funziona come la più perfetta “profezia che si autoavvera”: dal momento che penso che non ricorderò questo nome, non lo sto neanche a sentire.
Inoltre questo ragionamento assimila la memoria umana ad un hard disk o ad uno schedario, le cui possibilità di archiviazione sono determinate dalla loro dimensione. Al contrario, ci sono molte prove che più cose si conoscono, più se ne riescono a ricordare: una persona che conosce più di una lingua straniera avrà minori difficoltà ad impararne un’altra ancora.
Per cui, al momento della presentazione, è utile:
Ascoltare con attenzione il nome e il cognome
Osservare attentamente il volto e l’intera persona (in ogni volto c’è una caratteristica che attira subito l’attenzione – naso, orecchie, mento, guance, nei, fronte, sopracciglia, rughe, ecc.)
Citare il nome durante la conversazione
Ripetere il nome dell’interlocutore ancora una volta al momento di salutarsi
Sommario
Baker o baker?
È stato compiuto un interessante esperimento su due gruppi di persone. Al primo gruppo fu mostrata la foto di una persona, dicendo che si trattava del sig. Baker. Al secondo gruppo fu mostrata la medesima foto, dicendo che quella persona faceva il «baker» (panettiere).
Fornaio
A distanza di un mese, la percentuale di riconoscimento della foto fu molto più elevata (più del triplo) per il secondo gruppo.
Come mai questa differenza, in presenza della stessa foto e della stessa parola?
Probabilmente ciò è dovuto al fatto che alla professione del panettiere, un po’ per tutti, si ricollegano una grande quantità di informazioni e ricordi relative a quel mestiere: il grembiule e il capello bianco, il profumo del pane, il forno… Una grande quantità di dati sensoriali, mentre il cognome Baker era legato unicamente al volto mostrato sulla foto.
Cosa possiamo imparare da questo esperimento? Che è importante riuscire ad associare una determinata informazione ad un’immagine (il meccanismo del riconoscimento visivo è pressoché perfetto).
Sinestesie e ancoraggi
È un’esperienza piuttosto comune associare un profumo ad una determinata persona.
Ogni volta che sentiamo quel determinato profumo, la persona cui
“La nostra canzone”
l’abbiamo associato ci torna in mente.
Altrettanto comune è il fenomeno «la nostra canzone» tra coppie di innamorati. Ogni volta che l’ «innamorato» sente quella canzone, viene irresistibilmente riportato allo stato d’animo e alle circostanze in cui l’associazione si è stabilita.
L’associazione tra una rappresentazione sensoriale ed un’altra viene chiamata “sinestesia”. In sostanza, la sinestesia è una confusione dei sensi. In PNL questo processo é perseguito intenzionalmente, e viene chiamato stabilire ancoraggi. Può dar luogo, tra le altre cose, a ricordi vividi ed intensi.
In genere, il ricordo è favorito dall’associare un concetto, un’idea, un dato ad una rappresentazione sensoriale visiva, auditiva o cenestesica. Le tecniche di memorizzazione, dalla Grecia antica ad oggi, si occupano proprio di stabilire queste associazioni. Del resto, anche le persone la cui memoria eccezionale è stata oggetto di studi utilizzavano, senza saperlo e senza intenzione, questa stessa tecnica.
Le “Intenzioni di implementazione”
Nel post Obiettivi: superare gli ostacoli con le “intenzioni di implementazione”abbiamo presentato il Modello nell’ottica di superare ostacoli e reagire prontamente a situazioni impreviste, ma può essere utilizzato anche per ricordare impegni quotidiani, per esempio per ricordarsi di prendere le medicine all’ora corretta.
Cosa significa dichiarare a se stessi un’intenzione di implementazione? Quando si formula un obiettivobisogna specificare con esattezza cosa si desidera ottenere. Nel formulare le dichiarazione di intenzione ci sono due aspetti differenti che è necessario specificare:
Identificare l’azione da mettere in atto per raggiungere l’obiettivo, e dove e quando metterla in atto.
Individuare i possibili ostacoli al raggiungimento dell’obiettivo, e come comportarsi.
In pratica, dobbiamo dichiarare a noi stessi dove, quando e come faremo ciò che ci proponiamo di fare. John Bargh, nel suo libro A tua insaputa. La mente inconscia che guida le nostre azioni, presenta i risultato dell’applicazione di questo modello agli ospiti di una casa di cura per anziani. Una parte degli ospiti applicò il modello, a differenza dei rimanenti ospiti che cercavano di ricordarsi di prendere le medicine all’ora giusta in modo tradizionale.
Subito dopo colazione torno nella mia stanza e prendo la pastiglia numero uno
Quando vado a letto, subito prima di spegnere la luce, prendo la pastiglia numero quattro
Il trucco sta nell’indicare eventi futuri che hanno un’alta probabilità di verificarsi secondo la routine quotidiana. In questo studio il gruppo di anziani che avevano cercato di ricordarsi le medicine le prese effettivamente nel 25% dei casi, mentre il gruppo che usò le intenzioni di implementazione arrivò al 100%. Altri studi hanno confermato l’efficacia di questo modello.
Mappe e memoria
Nel 1920 lo psicologo russo Aleksandr Lurija conobbe il Signor S., che per molti anni fu oggetto dei suoi studi, in quanto era caratterizzato da una memoria prodigiosa e da una serie di strategie innate che la rendevano possibile.
Aveva sinestesie continue per cui, ad esempio, ogni suono da lui ascoltato aveva un colore, uno spessore, una forma, perfino un gusto. Ogni parola accendeva in lui un’intensa attività immaginifica.
Quando sento la parola ‘verde’, compare un vaso verde con dei fiori; ‘rosso’, ed ecco un uomo in camicia rossa…
Dal momento che ogni parola evocava una rappresentazione sensoriale, S. viveva in una continua sorta di sogno ad occhi aperti.
Il procedimento di S. – racconta Lurija – è fondato sulla trasformazione di una serie di parole in una serie di immagini.
Per ricordare, doveva «collocare in ordine le sue immagini». In pratica, non faceva altro che immaginare di passeggiare per una via di Mosca o in un altro posto che conosceva: un’immagine veniva piazzata sulla porta di una casa, un’altra vicino ad un lampione, una terza in cima ad una palizzata…
Una volta, ripetendo alla perfezione un lunghissimo elenco di parole che Lurija gli aveva letto più di dieci anni prima, il signor S. dimenticò la parola “matita”. Spiegò così la sua dimenticanza:
Avevo collocato la matita vicino ad uno steccato, uno di quelli, sapete, che si trovano lungo le strade, ed ecco, la matita si confuse con lo steccato e io le passai accanto senza accorgermene.
Ad ogni modo, queste straordinarie qualità mnemoniche non sono proprio da invidiare: il signor S. non riuscì mai a svolgere un’attività lavorativa stabile e non ebbe una vita facile.
I nativi americani e gli aborigeni australiani avevano la tradizione di rappresentare i territori in cui vivevano nelle parole dei loro canti tradizionali.
Ogni ruscello, ogni collina diventava parte del canto, e questo permetteva loro di riconoscere i territori che stavano attraversando semplicemente conoscendo a memoria questi canti e questi miti tradizionali. Canto, mito e mappa finivano per coincidere.
L’aver fatto coincidere i propri miti e la propria cultura con i loro territori determinò la spiacevole conseguenza che, quando i nativi americani vennero privati delle loro terre, dimenticarono i propri canti tradizionali e i propri miti, perdendo buona parte della propria cultura.
Tutti abbiamo buona memoria per qualcosa
Perché i camerieri esperti non hanno bisogno di scrivere l’ordine?
Perché i migliori violinisti sono così bravi a memorizzare nuovi spartiti?
Come fa un calciatore professionista a dare un’occhiata ad un’azione di una partita trasmessa in TV e a ricostruire con precisione quasi assoluta tutti i movimenti del gioco, le posizioni dei vari giocatori e vari altri particolari?
Adriaan De Groot, uno psicologo olandese, sottopose ad una interessante analisi alcuni maestri di scacchi. Sottoposti a vari tipi di test, dimostrarono di avere una memoria assolutamente nella norma. Tuttavia ricordavano con precisione quasi assoluta la disposizione dei pezzi su una scacchiera nelle varie fasi di una partita.
Se, però, la disposizione dei pezzi non si riferiva alla fase di una partita, ma i pezzi erano stati disposti a casaccio dando luogo a configurazioni impossibili, i maestri di scacchi non riuscivano a ricordarla: una scacchiera con pezzi disposti in modo causale non ha un contesto, non può essere paragonata ad altre scacchiere, non fa venire in mente una partita del passato.
La conoscenza approfondita in qualche campo, quindi, potenzia la capacità di ricordarne i minimi dettagli. Gli esperti vedono il mondo da un’altra prospettiva: si accorgono di cose che i non esperti non notano.
Puntano direttamente sull’informazione più rilevante e sanno in modo quasi automatico come servirsene, ma, soprattutto, filtrano l’enorme quantità di informazioni che ricevono dai sensi in modo più raffinato.
Ora, tutti noi conosciamo qualcuno che ricorda perfettamente a memoria un gran numero di ricette, oppure tutti i risultati di una squadra di calcio, o una quantità di caratteristiche di automobili o motociclette, o le regole sintattiche di vari linguaggi di programmazione, o un mucchio di testi di canzoni, o trame e cast di molti film…
Quello che agevola queste persone nel ricordare l’oggetto delle loro passioni è la passione stessa, e la conseguente conoscenza approfondita.
Da questi studi, e anche dalle nostre personali osservazioni, si possono trarre due conclusioni:
Si ricorda solo ciò che si sceglie di osservare
Noi non ricordiamo fatti e dati isolati, ma sempre e solo fatti e dati inseriti in un contesto a cui riusciamo a dare un senso.
Abbiamo presentato tutte queste connessioni tra ricordi, memoria e rappresentazioni sensoriali per giustificare l’affermazione iniziale, cioè che il dimenticare dove si è posato un oggetto e altre dimenticanze dello stesso genere non sono dovute a una mancanza di memoria, ma a una mancanza di presenza e di attenzione in ciò che si sta facendo. La nostra attenzione, troppo spesso, è diretta verso i nostri pensieri e non verso la realtà in cui stiamo operando.
Per trattare questo tema in modo leggero, riporteremo un brano del libro “Papalagi”, che ha avuto un’origine piuttosto strana. Attorno al 1920 alcuni europei proposero a un certo Tuiavii, allora capo di una delle isole Samoa, di fare un viaggio in Europa, per vedere di persona la civiltà occidentale.
Dopo aver compiuto questo viaggio, Tuiavii raccontò agli altri abitanti dell’isola ciò che aveva visto. Solo in un secondo tempo queste sue ‘conferenze’ vennero riunite in un libro e pubblicate. Tuiavii descrive il modo di vivere dei Papalagi (così chiamava noi europei), le nostre case, i nostri vestiti con gli occhi di non sa nulla di tutte queste cose.
Il seguente brano é tratto dal capitolo “La grave malattia del pensare”:
Ma il Papalagi pensa cosi tanto che pensare per lui è diventata un’abitudine, una necessità, addirittura un obbligo.
Riesce solo con difficoltà a non pensare e a vivere con tutte le sue membra insieme. Spesso vive solo con la testa, mentre tutti i suoi sensi sono profondamente addormentati. Anche se va in giro, parla, mangia e ride. Il pensare, i pensieri, che sono i frutti del pensare, lo tengono prigioniero. È una specie di ubriacatura dei suoi pensieri.
Quando il sole splende bene nel cielo, pensa subito: “Come splende bene!”.
E sta sempre lì a pensare come splende bene. Ciò è sbagliato. Sbagliatissimo. Folle. Perché quando splende è meglio non pensare affatto.
Un abitante delle Samoa intelligente distende le sue membra alla calda luce e non sta a pensare a niente. Accoglie in sé il sole non solo con la testa, ma anche con le mani, i piedi, le gambe, la pancia, con tutte le membra. Lascia che la pelle e le membra pensino da sole. E queste da parte loro pensano, anche se in modo diverso dalla testa.
Il pensare sbarra il cammino al Papalagi in molti modi, come un blocco di lava che non si può scansare. Pensa lietamente, ma poi non ride; pensa cose tristi, ma non piange. Ha fame, ma non coglie frutti di taro. È per lo più un uomo con i sensi che vivono in inimicizia con lo spirito: una persona che è divisa in due parti.
La vita del Papalagi somiglia molto alla situazione di un uomo che fa un viaggio in barca alla volta di Savaii e che quando ha appena lasciato il porto pensa: “Quanto mi ci vorrà per arrivare a Savaii?” Pensa, ma non vede il piacevole paesaggio che attraversa con il suo viaggio.
Ora gli si presenta sulla sinistra il dorso di una montagna. E non appena il suo occhio lo coglie, non può fare a meno di pensare “Cosa ci sarà dietro la montagna? Ci sarà una baia profonda o stretta?”. Preso da questi pensieri dimentica di cantare insieme agli altri le canzoni del mare; non sente neanche gli allegri scherzi delle fanciulle. Si è appena lasciato alle spalle il dorso della montagna e la baia, quando lo tormenta un nuovo pensiero: “Ci sarà una tempesta entro sera?” Proprio cosi, se entro sera ci sarà una tempesta. Cerca nel cielo chiaro scure nuvole. Pensa sempre alla tempesta che si potrebbe abbattere su di lui. La tempesta non arriva e raggiunge Savaii senza danni. Però è come se non avesse compiuto il viaggio, perché i suoi pensieri erano sempre lontani dal suo corpo e fuori dalla barca. Sarebbe potuto benissimo rimanere nella sua capanna a Upolu.
Vivendo con i nostri sensi profondamente addormentati, come dice Tuiavii, ci succede di fare le cose senza vederle realmente, rimuginando in continuazione.
Quando fai una doccia, per qualche momento sei pienamente presente: l’acqua calda scende sul tuo corpo, il calore ti rilassa i muscoli procurandoti piacere… poi inizi a pensare. «Cosa devo fare oggi?… Devo ricordarmi di telefonare a Tizio per invitarlo a cena….» Man mano che ti fai assorbire dai tuoi pensieri, la doccia passa in secondo piano.
Mentre vai in giro circondato da questa cortina di «smog psicologico» ti perdi buona parte della ricchezza della vita. Per non dimenticarti dove hai posato quel determinato oggetto dovrai quindi essere presente nel momento in cui compirai quell’atto, e con tutti i sensi spalancati: in questo modo non te lo dimenticherai di certo.
La pratica della Mindfulness è molto utile per imparare a direzionare l’attenzione e a essere presenti in ciò che stiamo facendo.