Francesca Cantaro: i rischi della PNL
Oggi presentiamo un’intervista a Francesca Cantaro, una Trainer PNL che è caratterizzata da una sua personale tendenza a rielaborare i contenuti di questo modello, non limitandosi a riproporlo così come appare.
Membro del Direttivo della Federazione AICO. Conduce gruppi di Sviluppo personale, oltre che di formazione in PNL.
Co-autrice del libro “I segreti della PNL. Il non visibile della programmazione neurolinguistica
Intervista a Francesca Cantaro
Domanda: La PNL è molto pragmatica e orientata ai risultati. Vorrei che tu mi esponessi, dal tuo punto di vista, i possibili rischi di questa impostazione. Può risultare controproducente questa focalizzazione sull’efficacia della comunicazione?
FC: Questo tema mi interessa. In questi anni un po’ per la conoscenza e la pratica didattica del modello PNL, un po’ per le riflessioni che ho fatto in questo senso, anche grazie al libro che ho scritto [I segreti della PNL. Il non visibile della programmazione neurolinguistica di Francesca Cantaro e Giacomo Guastalla, edizioni Sonda] c’è stata da parte mia e da parte di Giacomo il tentativo di spostare la PNL da una posizione culturale che tende a trasformare il pragmatismo in empiria, fraintendendolo e togliendogli il valore fondamentale, che è il valore dell’esperienza.
Se l’approccio PNL è pragmatico, questo non vuol dire che ciò che conta è solo il risultato, ma significa che si focalizza soprattutto sulla costruzione continua della relazione, sul fare esperienza con l’altro per scoprire la qualità di questa stessa esperienza. Quindi, di come fare perché quest’esperienza, man mano che accade, acquisisca qualità. Dal punto di vista filosofico, questo è il fondamento del pragmatismo, ovvero la funzionalità dell’agire: come fare perché il nostro agire abbia una funzionalità. E qui sta forse il quesito che poni tu. La funzionalità non vuol dire la funzionalità al risultato, ma la funzionalità alla qualità stessa dell’agire e quindi dell’esperienza che si fa, che è per sua natura l’evento relazionale.
Stavo dicendo che la PNL è stata, secondo me, un po’ sfavorita dal contesto temporale, che ha prodotto quella che Recalcati chiama la “Scuola-Narciso” che è succeduta alla “Scuola-Edipo”. La Scuola-Narciso coincide con uno sviluppo culturale (politicamente io direi il berlusconismo in Italia, ma non si limita a questo, è anche precedente ad esso) dove tutto è stato concentrato, fondamentalmente, sulla cura dell’immagine, della prestazione, della produttività della prestazione, di un’immagine egoica vincente, che non conosce limiti. I limiti sono tutti da superare in nome del valore in sè della prestazione e delle competenze mostrate. A me viene da dire che è un’educazione, una formazione che assomiglia più a quella “aziendale”, come se la metafora Azienda avesse preso il posto della metafora Famiglia che era presente nella fase precedente, quella della Scuola-Edipo. Nella Scuola-Edipo c’era il conflitto generazionale, che ha portato a tutte le battaglie del ‘68, alle ideologie anti autoritarie; però in qualche modo c’era una ricerca di scoperta, di superamento della Legge, attraverso una ricerca personale, e l’aspirazione ad essere autori della propria vita.
Invece la metafora della Scuola-Narciso io la vedo, nel mondo della formazione, narcisisticamente appoggiata sulla metafora dell’Azienda, e quando dico Azienda intendo dire produttività, risultati, non efficacia ma efficienza. La formazione basata su queste premesse fraintende, quindi, il pragmatismo che è un approccio molto significativo, di valore, proprio perché il centro, il quadro del pragmatismo è l’agire che, secondo me, è molto importante. E non solo secondo me, che sono un normale essere umano, ma anche per tanti pensatori come ad esempio Hannah Arendt, che
Questo ha a che fare anche con un altro aspetto: c’è un po’ un paradosso, la PNL dice di essere un modello che descrive l’esperienza, ma questo implica il “come” dell’esperienza, non il “che cosa”. Il pensiero del “come” è alla base non solo della PNL, ma di tantissimi modelli che si sono sviluppati in contrasto con altri modelli che privilegiavano il “perché” e il “che cosa”. Ma con questa accelerazione sulla prestazione, sul prodotto finito, la PNL si è spesso rivolta più al “che cosa” della prestazione, della competenza, piuttosto che al “come”. Modellare, chiedersi “come fai a fare questa cosa”, non vuol dire “quale competenza dimostri di avere nella tua prestazione produttiva”, ma veramente come fai, quali esperienze metti in campo per generare una nuova esperienza. Questo però implica una cura del processo e non del risultato, e, secondo me, è come se la PNL avesse perso la domanda inziale, anche la domanda iniziale di Bateson, “qual è la differenza che fa la differenza”. È come se strada facendo il processo si fosse sempre più perso e sempre più venisse afferrato il risultato finale.
FC: Si, ma c’è una differenza tra studiare il come con un’inclinazione a trovare nel processo il modello stesso, e studiare il come per afferrare al più presto possibile la prestazione. Io vedo come fai, e così, poi, faccio come te, quindi afferro quello che tu sai fare; è molto diverso dal io guardo come fai tu, così ricerco nel processo creativo altre fonti possibili di processi che possono portarmi nella stessa direzione, e quindi modello la qualità del processo stesso. E’ come se il processo mi servisse per il valore della prestazione in sé, che è diverso dal mettersi in una posizione di piacere del ricercare la qualità dei processi. Un rischio della PNL è questo. Dimenticare i processi, e guardarli per vedere poi dove portano, piuttosto che guardarli e scoprire una qualità che permette di generarne altri all’infinito.
Dicevo che questa attenzione privilegiata alla prestazione è collegata da una parte alla questione della produttività che dicevo prima, in una società basata sull’immagine, sull’efficienza e non sull’efficacia, sull’essere senza limite, ma anche sull’ “afferrare” i risultati. C’è questa tensione a prendere, piuttosto che a stare nell’incertezza e ad avvicinarsi, ma non ad afferrare. Anche perché abbiamo poco da afferrare: ogni cosa che afferriamo ci sfugge. Questa idea di afferrare per “consumare” è relativa anche alla produttività delle prestazioni: la competenza come un oggetto di consumo. Afferro la competenza, divento bravo, e questo viene consumato. Questo è collegato ancora ad un altro aspetto: nella PNL ci sono stati sempre i “guru”, i “personaggi”. In qualche modo, molti di questi personaggi hanno permesso ai fan, agli allievi, non so bene come chiamarli, di vedere nell’imitazione del Modello (il Maestro) la soddisfazione del loro desiderio di imparare il modello PNL. Il maestro che viene imitato: questa è proprio la negazione di un processo di conoscenza, di apprendimento e di ricerca. Questo però nella cultura della PNL è stato molto presente, come se il messaggio fosse: “fai come me”. Ma noi non possiamo mai fare come l’altro: anche il modellamento è stato male interpretato in questo senso. Io non posso fare come te, io posso avvicinarmi a te e riconoscere in te quale processo io posso assumere, con il mio stile, in modo che il mio stile “dilaghi” dentro questo processo di modellamento. Alla fine farò come me, non farò come te. Farò come me, ma ispirata da te. Che è completamente differente.
Nello stesso processo di Modellamento, credo che bisogna sentire il desiderio di conoscere un Modello, non si può conoscerlo “a freddo”. E man mano che ci si lavora, bisogna continuare a desiderare. Se molliamo questa tensione al desiderio, si assumono dei contenuti come delle “cose”, ma la relazione tra noi e quella conoscenza è una relazione asfittica, morta, quindi si assumono cose, non si ricercano processi. Questo è un altro motivo per cui la prestazione diventa più importante: perché non c’è il desiderio della conoscenza ma c’è la necessità della competenza.
Sto cercando di individuare quali sono state le strade, e possono essere state tante, che possono aver portato a questo fraintendimento e anche a questo sbilanciamento tra l’importanza della prestazione e la qualità della conoscenza. Conoscenza pragmatica, dove ciò che conta è l’agire, che porta con sé l’etica, perché l’agire è etica e, secondo me, qualsiasi modello che ha a che fare con l’esperienza ha a che fare con l’etica. E questo è un altro paradosso della PNL che invece ha avuto molte “ombre” rispetto a questo. Perché non c’è verso: un modello che si occupa dell’esperienza e quindi della relazione all’altro è un modello che ha a che fare con l’etica del comportamento umano.
Domanda: Però la PNL non si è mai occupata di questo, si limita a prendere in considerazione l’ecologia della persona…
FC: Ma non l’ecologia della relazione. Questo è un po’ un paradosso, è come se l’ecologia della persona potesse essere “a prescindere”, potesse essere considerata in modo “autistico”. Noi non esistiamo se non nella relazione con l’altro, non ci può essere un’ecologia della persona che prescinda dal contesto relazionale. Noi siamo sempre “in relazione a…”, e quindi l’altro è sempre in noi e per noi e davanti a noi: come si fa a separare questa ecologia da quella della relazione? Quella della relazione implica tutti e due i poli. E questo, secondo me, è un po’ un limite di questo modello, come se si fosse un po’ troppo fermato all’individuo. Forse troppo occupata a curare il soggetto, l’individuo, la PNL non ha considerato molto l’aspetto sistemico relazionale.
FC: Secondo me proprio perché ha preso una virata culturale “americana”, in senso storico, un po’ pionieristica, creando un modello molto individualista, molto impostato verso la “prepotenza dell’Io”. Curando sempre l’individuo nel mondo, ma non l’individuo in relazione al mondo. Dico pionieristica nel senso di una ricerca di fare meglio, ma un meglio quantitativo, non un meglio qualitativo. Noi abbiamo sempre fatto una PNL un po’ interpretata in modo europeo, con una cultura un po’ differente. Affrontando molte cose in modo diverso, anche se il modello queste cose le contiene. Soprattutto noi come PNL Meta, con Gianni Fortunato (leggi l’intervista a Gianni Fortunato), con altri docenti con cui abbiamo collaborato. Però questo vizio di fondo nel modello, in parte, rimane lo stesso, è come se fosse un virus che in qualche modo il modello contiene, e allora bisogna proprio distanziarsene per vedere quello che dicevi tu. Anche perché la visione sistemica, detto così sembra chissà cosa di complesso, ma è veramente una cosa molto semplice: significa avere una visione relazionale, vedere il processo, avere il pensiero del come e non del che cosa. Passare da una visione metafisica, che si occupa di assoluti, a vedere le cose “in relazione a…”. Noi ci occupiamo di comunicazione sempre “relativamente a…”. E’ come tenere presente che, qualsiasi cosa la PNL proponga, va sempre vista “in relazione a…”. Significa escludere competenze assolute e obiettivi assoluti da qualsiasi processo di apprendimento, contestualizzando e relativizzando sempre. Sistemico vuol dire questo. Da Palo Alto in poi, pensare sistemicamente ha avuto molte strade, ma fondamentalmente quello che sostiene la teoria dei sistemi viene dal mondo scientifico, dalla fisica, dal principio di indeterminazione, da un monte di cose prima della psicologia. Significa focalizzarsi sulla relazione tra le cose, perché la verità sta lì, non sta nelle cose. La verità relazionale è un qualcosa che la PNL ha pronunciato, ma poi ha un po’ dimenticato
Approfondimenti:
Vivere in un mondo complesso
Sistemi complessi e autorganizzazione
Il punto, per riprendere il filo del libro di Recalcati, è che ora ci vuole un cambiamento nelle metafore dell’educazione, e quindi anche della formazione. La crisi che c’è ci rende pronti. Questo momento critico dal punto di vista sociale, economico, della produttività, paradossalmente è un periodo “buono” per fare un cambiamento. Per spostarsi da una logica basata sull’immagine, sulla competenza, sull’apparire della prestazione, al limite anche sulla qualità, ad una formazione dove il punto fondamentale diventa il desiderio di ricercare e di conoscere piuttosto un acquisto immediato della competenza. Il desiderio continuo della ricerca: io scelgo di fare un corso di formazione spinta da un desiderio di trovare qualcosa, che cosa? non lo so, ma di fare ricerca, invece di avere l’idea di afferrare il prodotto.
Un desiderio di ricerca, di conoscenza, di movimento, di spostamento. Questo mi sembra l’unica cosa che dovrebbe essere alla base dell’apprendimento. Quando smettiamo di ricercare un po’ moriamo, e ricercare significa farsi sempre delle domande e non pretendere risposte, vedere la bellezza del farsi della domanda piuttosto che la fretta di avere la risposta.