Il coaching e il potere delle domande
Il coaching è, essenzialmente, un modo di guidare le persone nel raggiungimento degli obiettivi, utilizzando il potere delle domande.
E’ un progetto di crescita mirato, con traguardi specifici, che facilita il cambiamento attraverso un incremento di consapevolezza e responsabilità.
E’ nato in ambito sportivo: Timothy Gallwey è stato il primo a parlare di «inner game», applicandolo al gioco del tennis.
«L’avversario che abbiamo nella mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della rete»
Presto il Coaching passò dal mondo dello sport al mondo del business, per opera di molti coach sportivi che cambiarono campo di intervento. Oltre a T. Gallwey, anche John Withmore ebbe un ruolo fondamentale in questo processo.
Avevamo, in parte, affrontato questa tematica in un post su di un evento di PNL Apps.
Oggi, oltre alle varie versioni del Business Coaching, si sta sempre più diffondendo il Life Coaching, per persone che decidono di migliorare alcune aree della propria vita.
Il pericolo non deriva da ciò che non conosciamo, ma da ciò che crediamo di conoscere.(Mark Twain)
Il potere delle domande
Un coach non dà consigli o pareri, né dà informazioni. Fornisce supporto nel raggiungimento di un risultato, soprattutto mediante domande.
Le domande hanno un potere fondamentale, quello di direzionare il focus dell’attenzione. Sono uno strumento potentissimo a tutti i livelli della comunicazione umana: nella comunicazione interpersonale e nella comunicazione intrapersonale (la comunicazione con sé stessi).
Nella comunicazione le domande orientano l’attenzione, ed è per questo che fare domande è il modo più efficace per dirigere l’attenzione del Coachee. Se, ad esempio, ti chiedo “Come sta la tua famiglia”, tu non puoi non pensare alla tua famiglia. Quindi fare domande è un qualcosa di molto intrusivo ed è per questo che un Coach lo utilizza in modo sottile, preciso e sofisticato.
Le domande danno un compito al cervello che tende a trovare le risposte alle richieste che gli vengono fatte. Il nostro cervello ha potenzialità straordinarie e gestisce una quantità impressionante di dati; è sempre in attività, anche quando dormiamo.
Porsi domande è una maniera di finalizzare questo lavorio incessante a trovare soluzioni alle questioni che ci stanno a cuore. Un esempio di questo processo è l’esperienza, abbastanza comune, di avere in mente, al risveglio, la soluzione ad una questione cui si stava pensando intensamente la sera prima.
Da qui l’importanza di porsi le domande “giuste”.
Domande formulate male generano risposte inadeguate, e quindi determinano un modo inefficace di affrontare i problemi.
Inoltre, se le domande che ci poniamo sono sempre le stesse, continueremo a «mappare» sempre la stessa, limitata porzione di realtà.
Se, per esempio, ci domandiamo, in seguito ad un’esperienza sfortunata: “Perché non me ne va bene una?” il cervello si attiverà a trovare una risposta, cioè tutta una serie di aspetti negativi sulla propria vita e su se stessi.
Se invece ci poniamo domande più adeguate, come: “Cosa posso imparare da ciò che mi è successo?” l’elaborazione mentale continuerà a scandagliare l’esperienza ricercando le risposte a questa domanda, e prima o poi le troverà. E, in questo modo, verranno acquisite nuove risorse.
Le domande possono essere utilizzate anche allo scopo di modificare il proprio stato interno, modificando il focus dell’attenzione
- Per che cosa sono grato oggi?
- Cosa posso imparare da questo?
- ……………….
Tipi di domande
I tipi di domande nel coaching:
domande di esplorazione | domande che aggiungono elementi, che espandono il contenuto |
domande di ricapitolazione | domande chiuse che verificano la comprensione e creano punti di stabilità |
domande di specificazione | domande che recuperano informazioni cancellate o date per scontate |
domande di patterning | domande che consentono di creare connessioni o esplorare le connessioni presenti nella mappa della persona. Non aumentano i contenuti ma creano un collegamento tra i contenuti presenti |
domande epistemologiche | domande che servono a comprendere cosa c’è alla base del modo di pensare del cliente, del suo processo di pensier |
Migliorare la performance
Ogni attività umana può essere ricondotta a tre elementi:
Per esempio, se stiamo guidando l’auto, possiamo ricevere input dal traffico, dalla strada, dal suono del motore, dai cambi di velocità, dalla tensione o stanchezza del nostro corpo, dagli strumenti di bordo….
Possiamo essere consapevoli di tutti questi elementi e di altri ancora, oppure prendere in considerazione solo gli input che ci permetteranno di arrivare sani e salvi alla nostra meta mentre ascoltiamo la radio e pensiamo agli affari nostri.
Dentro di noi è spesso attivo un processo per cui tendiamo ad abbassare il nostro grado di consapevolezza alla soglia di «quel tanto che basta per fare andare avanti le cose»: sappiamo tutti che la nostra mente è dominata dall’inconsapevolezza per la maggior parte del tempo, ed è spesso rivolta a tutt’altro rispetto a quello che stiamo facendo in quel momento; viene distratta da altre cose: idee, preoccupazioni, fantasie, ricordi….
Uno degli aspetti negativi di questa mancanza di focalizzazione è che conduce a generare degli output di un livello qualitativo minimo. La pratica della Mindfulness può essere di grande aiuto per correggere quest’attitudine.
I guidatori migliori registrano una quantità maggiore di input da cui traggono informazioni più dettagliate, che poi elaborano per produrre l’output più adatto.
Per quanto si possa essere abili nell’elaborare l’input ricevuto, la qualità dell’output dipende dalla qualità e quantità dell’input.
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Le “istruzioni” non funzionano
Per migliorare l’input, e quindi la focalizzazione e la consapevolezza, occorre formulare domande “strategiche”, vedremo in che modo.
Continuando a fare analogie con lo sport, supponiamo di voler fare in modo che un giocatore di tennis mantenga maggiormente lo sguardo sulla pallina.
L’istruzione «Guarda la palla!» sarebbe efficace? No, non è così semplice.
Supponiamo di voler fare in modo che un giocatore di golf sia perfettamente rilassato al momento di colpire la pallina. L’istruzione «Rilassati!» lo aiuterebbe effettivamente a rilassarsi? No, anzi, probabilmente aumenterebbe la sua tensione.
- «Stai guardando la palla?» Probabilmente ottiene l’effetto di mettere il giocatore in difensiva.
- «Perché non guardi la palla?» Idem come sopra in peggio.
Un altro genere di domande
Consideriamo gli effetti delle seguenti domande:
- Da che parte ruota la palla mentre procede verso di te?
- Quanto è alta rispetto alla rete?
- Dopo che è rimbalzata, ruota più veloce o più lenta?
- A che distanza è la palla dall’avversario quando riesci a vedere per la prima volta in che verso sta ruotando?
Gli effetti di queste domande sono:
- il giocatore è costretto a guardare la palla, altrimenti è impossibile rispondere
- il giocatore deve raggiungere un grado di concentrazione elevato, fornendo a se stesso un input di qualità più elevata
- le risposte che vengono richieste implicano una descrizione e non un giudizio
Ricapitolando:
- Guardare la palla è importante per un giocatore di tennis.
- Tuttavia, ordinarglielo in modo imperativo non necessariamente risulta efficace.
- Quante volte gira su se stessa la palla è totalmente ininfluente, ma se noi chiediamo al giocatore di concentrarsi su quell’aspetto, siamo sicuri che non perderà di vista la palla un solo istante.
- Chiedere di contare quanti giri fa è solo una delle tante domande possibili, la cui scelta dipende unicamente dall’effetto che vogliamo ottenere.
Il fatto di usare descrizioni al posto di giudizi, positivi o negativi, è importante proprio per l’efficacia della domanda e del feed-back.
Dire ad un tiratore che ha mancato il bersaglio non gli è di nessuna utilità.
Gli può invece essere molto utile sapere che il suo tiro è andato tre centimetri più in basso, se deve fare una correzione.
Gli elementi descrittivi aggiungono valore, quelli critici lo sottraggono.
«Un feedback di qualità, possibilmente generato dall’interno e non da qualche esperto esterno, è essenziale per garantire un miglioramento continuo: nello sport, ma anche nel lavoro e in tutti gli altri momenti della vita» (J. Withmore)
C’è una grande differenza tra continuare a tentare consciamente di fare qualcosa bene e monitorare attentamente ciò che stiamo già facendo senza giudizio. In questo secondo modo l’apprendimento è estremamente rapido.
Supponiamo che un tennista mandi tutte le palle fuori campo oppure in rete: tenderà a giudicare la propria performance in termini di buono/cattivo, giusto/sbagliato, e si criticherà al massimo grado.
Di conseguenza, si sforzerà troppo di correggere i propri errori, ma così facendo compenserà in modo eccessivo i precedenti sbagli, con il risultato di fallire nuovamente.
Nel tennis, la ragione di questi errori risiede spesso in una valutazione imprecisa rispetto al punto da cui la pallina sta arrivando, e a quello verso cui dirigerla.
Si può chiedere: «Quanto era alta sulla rete quella palla?», magari chiedendo al giocatore di indicare ogni volta ad alta voce di quanti centimetri essa ha sorvolato la rete.
L’esatta altezza in centimetri di quanto la pallina oltrepassa la rete è del tutto irrilevante, la cosa importante è che il tennista si concentri sul risultato della sua azione e lo registri mentalmente.
Il solo fatto di ricercare un feedback preciso porta il giocatore a correggersi automaticamente, senza doversi forzare.
Anche ognuno di noi può migliorare le proprie prestazioni, semplicemente monitorandole attentamente. Senza giudicarsi, impegnandosi nel produrre una descrizione precisa e dettagliata.
Il gioco interiore del tennis. Come usare la mente per raggiungere l’eccellenza