Il coraggio nella vita e nel mondo del lavoro

Murales palermo
 

E’ normale che esista la paura, in ogni uomo, l’importante è che sia accompagnata dal coraggio. Non bisogna lasciarsi sopraffare dalla paura, altrimenti diventa un ostacolo che impedisce di andare avanti. (Paolo Borsellino)

Chiunque è in grado di esprimere qualcosa deve esprimerlo al meglio. Questo è tutto quello che si può dire. Non si può chiedere perché. Non si può chiedere ad un alpinista perché lo fa. Lo fa e basta. A scuola avevo un professore di filosofia che voleva sapere se, secondo noi, si era felici quando si è ricchi o quando si soddisfano gli ideali. Allora avrei risposto: “quando si è ricchi” (..) Invece aveva ragione lui. (Giovanni Falcone)

 

  Cos’è il coraggio

La prima  forma di coraggio è il coraggio di assumersi la responsabilità della propria vita. La parola responsabilità è composta da due parole: “rispondere” e “abilità”, abilità di risposta.
Responsabilità significa, semplicemente, che anche se non possiamo sempre scegliere le circostanze della nostra vita, possiamo sempre scegliere come rispondere ad esse.

La vita non è quella che dovrebbe essere.
E’ quella che è.
E’ il modo in cui l’affronti che fa la differenza.
(Virginia Satir)


Approfondimento: 
Il coraggio di avere fiducia
Come essere più resilienti di fronte alle difficoltà
Paura delle emozioni
Alla ricerca del significato: la lezione di Victor Frankl

Sembra abbastanza ovvio, ma nella vita in genere e soprattutto nella vita di lavoro, la maggior parte di noi non accetta quest’idea, e attribuisce la responsabilità dei fallimenti o di ciò che non è stato fatto alla mancanza di opportunità e a circostanze sfavorevoli.

Le persone hanno la tendenza a scaricare gli insuccessi all’esterno, e ad attribuirsi il merito dei successi. Si chiama “errore di attribuzione”.

  • Siamo in auto, e siamo in ritardo ad un appuntamento. Stiamo cercando di andare in fretta, quando uno stupido, che va pianissimo, non ne vuole sapere di togliersi di mezzo.
  • In un altro momento, stiamo guidando, rispettosi del codice della strada, quando un matto si incolla al nostro paraurti posteriore, impaziente di passare ma impossibilitato a farlo.
  • L’autista lento che ci rallenta è un cretino; noi non siamo mai i matti. E quello di dietro è un matto: noi non siamo mai cretini. Noi si che andiamo sempre alla velocità giusta.
  • La nostra tendenza è di attribuire le cause del comportamenti altrui a fattori interni alla loro personalità, non considerando le condizioni esterne cui sono sottoposti. Al contrario, tendiamo a spiegare i nostri comportamenti considerando le condizioni esterne.

Quando l’esito delle nostre azioni è positivo lo attribuiamo alla nostra capacità; quando l’esito è negativo, facciamo appello alle circostanze. Un errore simile si compie nelle spiegazioni morali. Quando le cose vanno storte, riteniamo gli altri responsabili e puntiamo il dito contro di loro, ma ci riteniamo innocenti.

Spesso rifiutiamo la possibilità di rispondere alla situazione in modo diverso dal solito, dai nostri schemi abituali. Tendiamo a rifuggire ciò che ci crea insicurezza o disagio: la nostra “zona di confort” è l’insieme delle nostre abitudini, di ciò che conosciamo e ci è familiare. Al suo interno siamo come protetti da una specie di bolla, ci troviamo in situazioni che conosciamo in cui ci spostiamo con disinvoltura.

ciclo irresponsabilità
ciclo responsabilità

Nelle società di oggi, definite ‘’società liquide’’, le persone si sentono sempre più schiacciate e confuse da nuove e inaspettate sfide, innovazioni tecnologiche, cambiamenti sociali ed economici, ristrutturazioni, chiusure, outsourcing, spinte contrastanti e ambivalenti.

Di conseguenza l’inazione vince sul coraggio, tanto degli individui quanto dei gruppi.

Le organizzazioni sono guidate da persone che, con i loro pregi e i loro limiti, sono chiamate a prendere decisioni fondamentali in condizioni d’incertezza, con ripercussioni importanti per se stessi, per l’impresa e per tutto ciò che c’è dentro e attorno ad essa.

 
Tra il dire e il fare

Abbiamo l’impressione che il coraggio (etimologicamente: azione del cuore) sia un concetto, una virtù, un modo di fare sempre meno presente, che caratterizza sempre meno il nostro agire. Inoltre pensiamo che questo sia ancora più vero per il management di organizzazioni ed imprese.

Sembrerebbe che la complessità spinga verso una navigazione a vista, e verso comportamenti “prudenziali” più che verso atti di coraggio.

Non importa quanto poco avventuroso, timido, cinico o rassegnato tu creda di essere, tu possiedi la capacità di vivere molto più coraggiosamente di quanto abbia fatto finora’ (Margie Warrell)

Possiamo migliorare molto nell’affrontare responsabilità e rischi, nel prendere decisioni difficili, e nel resistere alla tentazione di essere “yes men”.

Il coraggio non è una dote straordinaria che ci fa assumere atteggiamenti temerari e rischi fisici: ognuno di noi sperimenta quotidianamente atti di coraggio, nella vita di tutti i giorni.

 

Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno. (Martin Luther King)

Ogni volta che la vita ci chiama a misurarci con l’assunzione di una responsabilità dalla quale tendiamo a fuggire, a prendere posizione, ad esprimerci autenticamente invece che ambiguamente, a dire di NO a quello che non ci convince anziché allinearci, abbiamo l’occasione di agire con coraggio.

Il coraggio nella Gestione delle Organizzazioni

 
 
Rischio
 

Recenti studi sull’organizzazione aziendale hanno messo alcune ‘’caratteristiche’’ che, nel loro insieme, caratterizzano un agire coraggioso in situazioni di stress, conflitto o ambiguità (Klein, Napier, 2003). Vedi anche qui. Tali caratteristiche sono:

  1. Candore: il coraggio di dire quello che si pensa
  2. Scopo: il coraggio di perseguire obiettivi elevati e audaci
  3. Volontà: il coraggio di ispirare ottimismo, energia e impegno
  4. Rigore: il coraggio di seguire modelli di condotta e farli adottare
  5. Rischio: il coraggio dell’assumersi responsabilità personale e del “rendere conto”

CANDORE: IL CORAGGIO DI DIRE LA VERITÀ ED IN GENERALE CIÒ CHE SI PENSA

La sincerità è la prima qualità con cui costruire il coraggio. Se  in un gruppo di lavoro le persone vengono scoraggiate a dire la verità e a parlare chiaramente, il clima che si crea porta a confrontarsi solo su temi superficiali e conformisti. Far parte di un gruppo di questo genere risulta frustrante, e le persone si guardano bene dall’utilizzare tutte le loro risorse.

RIGORE: IL CORAGGIO DI SEGUIRE, INVENTARE E DIFFONDERE MODELLI DI CONDOTTA

Difficilmente il “rigore” è associato al coraggio. Il coraggio è più frequentemente associato all’azione solitaria, magari che rompe le regole.
Siamo abituati a pensare che seguire le procedure sia una limitazione alla libertà di azione, riduca la spontaneità, introduca rigidità e controllo.

La disciplina mentale e la capacità di agire con metodo richiede più coraggio che agire e far agire spontaneamente. Significa assumere il rischio di modificare status quo, regole “storiche”, abitudini, protocolli consolidati e mai messi in discussione. Il “rigore”, in questa accezione, comprende anche il coraggio manageriale di individuare nuovi modi di fare business e di organizzarsi, ricontrattare norme, aspettative, modi di fare, ed affermarli come “nuovo standard”.

Nel campo della sicurezza, la spontaneità genera comportamenti inadeguati a cui si devono circa 2 milioni di morti all’anno nel mondo, compresi 12mila bambini, a causa di 270 milioni di incidenti sul lavoro o di malattie professionali; in media, 5mila persone muoiono ogni giorno nel pianeta a seguito di infortuni o problemi di salute legati al lavoro.

Questo è il costo della mancanza del coraggio di seguire le regole ed ancora più di controllare che vengano osservate.

SCOPO: IL CORAGGIO DI PERSEGUIRE OBIETTIVI ELEVATI ED AUDACI

Non è perché le cose sono difficili che noi non osiamo, è perché non osiamo che le cose sono difficili (Lucio Anneo Seneca)

Il perseguimento di obiettivi quantitativi (percentuali di profitto, di quota di mercato, di fedeltà dei clienti, di qualità, di produttività…) non basta per sostenere lo sforzo particolarmente significativo necessario quando la vita aziendale è difficile, piena di ostacoli, di quotidiana frustrazione e dolore, di combinazione di stress e di ansia.

Un aspetto dell’arte della “leadership basata sul coraggio” è la capacità di legare i numeri ad una missione più alta, la stimolazione di un “senso di scopo” e di realizzazione. Spesso le Aziende sono piene di grafici che illustrano i risultati raggiunti, ma i dipendenti li guardano a stento perché manca il collegamento tra le persone ed i numeri. Non sono abituati ed aiutati a vedere le loro attività come “ciò che ha fatto la differenza”.

Collegare le persone ai numeri non vuol dire formulare un obiettivo in termini quantitativi. Vuol dire fare il percorso contrario: tornare al “fine” che è dietro e prima dell’obiettivo (e il numero in cui si traduce). Significativo è il fine, non l’obiettivo. L’obiettivo, così com’è solitamente proposto nelle Aziende, è burocratico. E’ lo scopo che è motivante.

Formulare obiettivi di questo tipo è un atto di coraggio, ed è molto più complesso. Vuol dire chiedersi: c’è ancora qualcosa che ci emoziona, per cui vale la pena di lavorare anche in condizioni così difficili? Che valori positivi permeano il lavoro di tutti i giorni? Cosa ci stiamo dimenticando, di profondo, sepolto sotto procedure rigide, compiti poveri, capi assenti?

VOLONTÀ: IL CORAGGIO DI ISPIRARE OTTIMISMO, FORZA ED IMPEGNO

E’ ricercando l’impossibile che l’uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo (Michail Bakunin)

Un atteggiamento e sistema di valori orientati al “can-do”, “posso farcela”, è uno dei fattori che differenziano le persone ad alto tasso di coraggio nella vita personale e professionale da quelli che tendono a rifuggire dalla responsabilità e dall’azione.

In tempi difficili come quelli che stiamo attraversando, ci vuole una speciale energia per superare la naturale tendenza al disfattismo e alla compiacenza. Inoltre l’ottimismo è contagioso: l’abilità di ispirare, creare un senso di speranza e di opportunità ha un effetto moltiplicatore sul team.

Questo tipo di coraggio porta a vedere la realtà a due livelli:

  • il livello di “ciò che è”, che è temporaneo e mutevole;
  • il livello di “ciò che può essere”, la visione verso la quale mobilitano se stessi e gli altri.

La leadership è per definizione ottimista. Senza di essa nelle organizzazioni il senso della realtà prevale e soffoca l’ottimismo, l’inerzia si insedia, le persone diventano vittima delle circostanze.

Potrebbe sembrare blasfemo sostenere che nelle organizzazioni, il regno del “senso della realtà”, questo finisca per essere un generatore di pessimismo e di mancanza di coraggio. Ma la vera risorsa scarsa è proprio prefigurarsi e anticipare il futuro.

Questo non significa negare l’importanza del realismo e del pragmatismo, è una questione di misura. Anche il pessimismo ha una sua ragion d’essere, in quanto il pessimista moderato ha una visione più realistica che in certe situazioni è certamente funzionale.

Per approfondire il tema dell’ottimismo puoi leggere questo post.

RISCHIO: IL CORAGGIO DELLA RESPONSABILIZZAZIONE

Se un uomo non è disposto ad affrontare qualche rischio per le sue opinioni, o le sue opinioni non valgono niente o non vale niente lui (Ezra Pound)

Assumersi un rischio consiste nel coraggio di accettare che una decisione porti a una perdita o a un evento indesiderabile.
Il denominatore comune del coraggio di dire ciò che si pensa, di fissarsi obiettivi ambizioni, di sperare ed impegnarsi, di autodisciplinare la propria condotta, è la capacità di assumersi rischi.

Senza correre il rischio di fare ciò che è giusto (anziché ciò che è conveniente, o urgente, o compiacente) non c’è coraggio.

Il coraggio di assumersi rischi vuol dire anche operare al di fuori dell’area di confort assicurata dalla gerarchia e dall’abitudine, disobbedire ad ordini sbagliati, assumersi responsabilità dirette e personali che non hanno niente a che fare con aspetti formali.

Aristotele diceva che il coraggio è la prima delle virtù perché rende possibili tutte le altre. Avere coraggio non significa non avere paura. Secondo una ricerca condotta nel 1986 da Reuven Gal, psicologo delle Forze Armate israeliane, dimostra che i soldati più coraggiosi ammettono di avere provato paura e frustrazione. La differenza non consiste nel non provare emozioni, ma non lasciare che queste impediscano di fare quello che deve essere fatto.

In un precedente post avevamo riportato questa citazione da Victor Frankl::

Non chiediamo infatti più il senso della vita, ma sentiamo di essere sempre interrogati, come gente alla quale la vita pone continuamente delle domande, ogni giorno e ogni ora, domande alle quali ci tocca rispondere, dando una risposta esatta, non solo in meditazioni e parole, ma con un’azione, un comportamento corretto. Vivere, in ultima analisi, non significa altro che avere la responsabilità di rispondere esattamente ai problemi vitali, di adempiere i compiti che la vita pone a ogni singolo, di far fronte all’esigenza dell’ora.

 
Maria Soldati e Fabrizio Pieroni

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