La speranza e i limiti dell’ottimismo

Speranza

Avere speranza ed essere ottimisti vengono, in genere, considerati quasi come dei sinonimi.

In un saggio del 2004 intitolato “Distinguere speranza e ottimismo: Due facce di una stessa moneta o due monete separate?” pubblicato sul Journal of Social and Clinical Psychology, due psicologi hanno usato i dati di un sondaggio per analizzare i due concetti.

Il recente emergere della psicologia positiva come ambito di ricerca integrativo (ad esempio il lavoro di Seligman Bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto? e di Csikszentmihalyi Lo stato di Flow o dell’esperienza ottimale) ha suscitato un nuovo interesse per la comprensione dei domini di base dell’esperienza soggettiva positiva.

Questi due concetti sono in parte sovrapponibili. Tuttavia,

  • L’ottimismo è una predisposizione stabile a credere che accadranno cose buone piuttosto che cattive
  • La speranza si basa su un senso di successo della determinazione degli obiettivi e dei modi per raggiungerli.

La speranza si concentra più direttamente sul raggiungimento di obiettivi specifici, che dipendono dalla nostra responsabilità.

L’ottimismo si concentra più ampiamente sulla qualità attesa dei risultati futuri in generale, anche riguardo a fattori in cui la nostra responsabilità non è coinvolta.

Un risultato importante di questa ricerca è che la speranza ha più a che fare con l’autoefficacia che con l’ottimismo, mentre l’ottimismo ha più a che fare con una generica valutazione positiva che con la speranza.

Il Paradosso di Stockdale

James Stockdale è stato un ammiraglio statunitense, insignito della Medal of Honor per il suo servizio come aviatore nella guerra del Vietnam.

Nel 1965 l’allora comandante pilota Stockdale fu colpito dal fuoco nemico sopra il territorio nordvietnamita: il pilota, lanciatosi con il paracadute, fu subito preso prigioniero. Stockdale fu trasferito nella prigione di Hoa Lo vicino a Hanoi, dove rimase in detenzione per i successivi sette anni e mezzo.

Stockdale fu ripetutamente torturato e sottoposto a trattamenti degradanti da parte dei suoi carcerieri, ma ciononostante si pose alla guida dei prigionieri statunitensi detenuti a Hoa Lo e coordinò la loro resistenza: creò e applicò un codice di condotta per tutti i prigionieri che subivano torture, comprensivo di un sistema di comunicazioni segrete e di un elenco dei comportamenti da tenere.

In un libro di management di James C. Collins viene riportata una conversazione  con Stockdale riguardo alla strategia che adottò durante il suo periodo di prigionia in Vietnam.

«Non ho mai perso la fede e non ho mai dubitato, non solo che sarei uscito, ma anche che alla fine avrei prevalso e trasformato l’esperienza nell’evento definitivo della mia vita, che, in retrospettiva, non avrei voluto fosse stato diversamente.»

Quando Collins chiese chi non ce la fece a sopravvivere alla prigionia, Stockdale rispose:

«Oh, è facile, gli ottimisti. Oh, loro erano quelli che dicevano: “Usciremo per Natale”. E il Natale arrivò e passò. Poi dissero: “Usciremo per Pasqua”. E la Pasqua venne e passò anche quella. E poi per il giorno del Ringraziamento, e poi di nuovo Natale. E morirono di crepacuore.»

Stockdale, quindi, aggiunse:

«Questa è una lezione molto importante. Non devi mai confondere la fede nel fatto che alla fine ce la farai — cosa che non ti puoi mai permettere di perdere — con la disciplina per affrontare i fatti più brutali della tua realtà attuale, qualunque essi possano essere.» (Wikipedia)

In determinati casi, quindi, l’ottimismo si rivela non un punto di forza, ma un creatore di illusioni nefaste.

Nel post intitolato Alla ricerca del significato: la lezione di Victor Frankl, che descrive la permanenza di Frankl nei lager nazisti, avevamo riportato alcune considerazioni contenute nel libro “Uno psicologo nei lager”, analoghe alle considerazioni di Stockale:

La perdita della speranza in un futuro si accompagna ad un crollo immediato ed improvviso: ben presto la persona non si preoccupa più di nulla: non si alza da letto, non lo spaventano le violenze o altri castighi, non cerca di procurarsi da mangiare. In poche parole, si arrende.

 Un compagno di Frankl aveva creduto di aver avuto, in sogno, la rivelazione che il 30 di marzo del 45 sarebbe uscito dal lager. La data della profezia si avvicinava sempre più e le vicende del fronte facevano sembrare inverosimile che quella data avrebbe potuto portare alla liberazione. Il 29 marzo l’uomo fu preso da una febbre altissima, il 30 marzo prese a delirare e perse coscienza. Il 31 dello stesso mese era morto.

 Del resto, tra il natale ‘44 e il capodanno ‘45 si ebbe un’impennata della mortalità nei prigionieri: e questo fu probabilmente dovuto ad il fatto che molti prigionieri avevano nutrito la speranza (basate sulle notizie dell’andamento della guerra) di poter essere liberi e tornare a casa per Natale. Speranza che tuttavia i fatti disattesero.

 Quindi la speranza mantenuta viva negli insegnamenti di Frankl non è un generico ottimismo, l’idea che le cose andranno meglio per loro conto: al contrario è un’assunzione di responsabilità, una serie di decisioni che, pur nelle pochissime possibilità di decidere qualcosa che rimaneva ai prigionieri di un Lager, determinava un atteggiamento che permetteva loro di continuare a vivere.

Firma BMaria Be BFabrizio

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