Tempo di promesse elettorali
Come mai in questa tornata elettorale siamo sommersi da promesse palesemente irrealizzabili?
Quali benefici si aspettano i leader politici che le sfornano a getto continuo? Ritengono che la capacità di giudizio degli elettori sia così limitata?
Non proprio. Sappiamo che la nostra rappresentazione della realtà non è la realtà stessa, la mappa non è il territorio. Quindi non è così improbabile che una persona possa credere con forza a qualche rappresentazione bizzarra, a idee che possono sembrare inverosimili.
Nel 1977 è stato realizzato un esperimento, così concepito: vennero proposti 60 enunciati a un gruppo di volontari, e venne chiesto loro di giudicare se fossero veri oppure falsi, e questa stessa attività venne ripetuta ad intervalli regolari. Ciò che emerse fu che, col passar del tempo, le persone definivano veri sempre più enunciati, a mano a mano che diventavano loro familiari, a forza di sentirli ripetere.
Il fatto di percepire gli enunciati come familiari portava le persone a ritenerli veri. Questo errore di giudizio risulta più intellegibile se ricordiamo che la tecnica di memorizzazione più diffusa è la ripetizione.
Ogni volta che incontri un pensiero, la resistenza biochimica – elettromagnetica lungo la via nervosa che porta quel pensiero viene ridotta. È un po’ come cercare di sgomberare un sentiero che passa attraverso un bosco. La prima volta è un grande sforzo perché devi aprirti il sentiero attraverso la boscaglia. La seconda volta percorrerai quel sentiero molto più facilmente, e più volte percorri quel sentiero, meno resistenze incontrerai.
Un processo simile accade nel cervello: più ripeti schemi o mappe di pensiero, meno resistenza c’è ad essi. La ripetizione aumenta la probabilità di ripetizione: più volte un evento mentale accade, più è probabile che accada di nuovo.
Joseph Goebbels, ministro della propaganda del regime nazista, sosteneva: “ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”. Con una propaganda martellante riuscì a convincere la maggioranza del popolo tedesco che i loro guai derivavano dagli ebrei e altre amenità del genere.
La familiarità con un concetto, un’idea, un modello porta a bypassare un’analisi critica.
Per questo le poco verosimili promesse elettorali vengono riproposte ossessivamente, senza preoccuparsi di confezionare le argomentazioni in modo razionale e credibile.
Quando le persone hanno “fame” di appartenere, è più probabile che aderiscano a credenze politiche in modo acritico, e costruiscano la loro identità in base a questa appartenenza, a meno che non trovino mezzi alternativi per soddisfare questa loro esigenza.
Questo rende intolleranti verso le critiche, perché vengono interpretate come un attacco diretto verso la propria identità. Infatti, le critiche di gruppo sono ricevute in modo meno difensivo quando sono fatte da un membro del gruppo piuttosto che da un estraneo, perché le intenzioni del critico sono percepite come costruttive
Lo psicologo Jay Van Bavel e colleghi della New York University, sulla rivista “Trends in Cognitive Sciences”, presentano recenti acquisizioni nel campo della neuroeconomia.
È noto che le affiliazioni politiche influenzano atteggiamenti, giudizi e comportamenti. E’ meno noto e meno ovvio che la partigianeria (intesa come identificazione con un partito politico) possa alterare la memoria, le valutazioni implicite e persino le percezioni visive.
Il partito ti ha detto di rifiutare le prove che provengono dai tuoi occhi e delle tue orecchie. Era il suo comando finale, il più essenziale. (George Orwell, 1984)
Non è quindi indispensabile l’ingiunzione di un regime totalitario come quello ipotizzato da George Orwell. Le persone spesso si preoccupano poco delle questioni politiche specifiche oggetto di valutazione, perché queste raramente hanno implicazioni importanti per la loro vita quotidiana concreta. Tuttavia, le loro posizioni personali su queste questioni hanno forti conseguenze sulla loro identità sociale. Di conseguenza, è più importante allineare credenze e giudizi con la propria identità politica piuttosto che preoccuparsi della loro accuratezza.
In quest’ ottica, uno studio ha esaminato la relazione tra competenze matematiche e problemi politici. Nella condizione di controllo, le persone che erano forti in matematica erano in grado di risolvere efficacemente un problema analitico. Tuttavia, quando il contenuto politico è stato aggiunto allo stesso problema analitico – confrontando i dati sulla criminalità nelle città che hanno vietato armi da fuoco contro le città che non lo erano – le competenze matematiche non hanno più previsto quanto bene le persone risolvevano il problema. In breve, le persone con elevate capacità di calcolo numerico non erano in grado di ragionare analiticamente quando la risposta corretta si scontrava con le loro convinzioni politiche.
È stato dimostrato che l’ identità partigiana influisce anche sulla memoria. Le persone hanno più probabilità di ricordare erroneamente le falsità che sostengono la loro identità partigiana: i democratici ricordano, erroneamente (più dei repubblicani), che G. W. Bush era in vacanza durante l’ uragano Katrina, sebbene G.W.Bush non vi sia mai stato. I repubblicani tendono a ricordare, erroneamente, più dei democratici, Barack Obama stringere la mano al presidente dell’ Iran, sebbene ciò non corrisponda al vero.
Uno studio ha dimostrato che l’affiliazione ad un partito ha plasmato le percezioni delle persone relative ad un video di una protesta politica. Quando i partecipanti pensavano che il video raffigurasse manifestanti che si opponevano al reclutamento militare nel campus, i repubblicani erano più favorevoli all’ intervento della polizia che i democratici, mentre il contrario emergeva quando i partecipanti pensavano che il video mostrasse una protesta conservatrice (cioè che si opponesse ad una clinica per l’ aborto).
Di fronte alle stesse informazioni visive, le persone sembrano aver visto cose diverse e hanno tratto conclusioni diverse a seconda delle loro appartenenze politiche. Altre ricerche hanno evidenziato che i repubblicani giudicano il colore della pelle dei leader politici – come Barack Obama – più scuro di quanto la considerino i democratici.
Le recenti ricerche nel campo della neuroeconomia portano a ritenere che l’identificazione con un partito politico possa portare a conseguenze simili a quelle che sono state studiate in relazione a sette altamente caratterizzate da fanatismo.
A questo proposito, riportiamo un brano di un precedente post, in cui avevamo presentato i risultati di un famoso esperimento condotto nel 1954 dallo psicologo Leon Festinger, sulla “dissonanza cognitiva”, che evidenzia l’attaccamento alle teorie più strampalate: Festinger si era unito ad una setta di Chicago, creata da Dorothy Martin, che affermava di comunicare con gli alieni.
Gli alieni avevano comunicato a Dorothy Martin che la notte del 21 dicembre di quell’anno il mondo sarebbe finito, ma i seguaci della setta sarebbero stati salvati e trasportati su astronavi aliene verso un mondo migliore. I seguaci ci credevano fermamente, tanto che molti vendettero le loro proprietà e si licenziarono, aspettando tutti insieme l’arrivo delle astronavi che, ovviamente, non avvenne.
Festinger era lì con loro, con l’intenzione di studiare le reazioni di un individuo o di un gruppo a cui viene dimostrato, con prove concrete, che ciò in cui crede è falso.
Dopo un iniziale smarrimento, arrivò qualcuno con un messaggio dagli alieni. Il mondo era stato salvato grazie alla forza spirituale del gruppo.
Ci sarebbe stato da aspettarsi che, verificata l’inconsistenza delle presunte comunicazioni degli alieni, i seguaci potessero ricredersi. Ma prendere semplicemente atto di ciò che era successo sarebbe costato loro molto caro: avrebbero dovuto ammettere davanti a se stessi che per anni avevano dato credito a favole, avrebbero dovuto dare ragione ad amici e parenti quando sostenevano che gli alieni non c’erano, e che comunque non erano in contatto con la loro leader…
Piuttosto che ammettere tutto questo e quanto erano stati creduloni, hanno preferito alzare la posta e dare credito all’ennesimo messaggio, secondo cui avevano salvato il mondo.
Da quel momento in poi, i membri della setta, che inizialmente non facevano proselitismo, si lanciarono in una frenetica attività di reclutamento di nuovi adepti, rafforzati nel loro credo, a dispetto delle prove contrarie.
Per evitare questi errori di giudizio sarebbe utile domandarci:
- perché crediamo ciò che crediamo?
- pensiamo che qualcosa sia vero perché l’abbiamo sentito diverse volte, oppure abbiamo altri, più validi motivi?