Le tentate soluzioni: quando il tentativo di soluzione è il problema

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Facciamo spesso questo errore: quando ci accorgiamo che quello che stiamo facendo non funziona e non raggiunge i risultati sperati, allora, invece di mettere in atto qualcosa di diverso, continuiamo  a fare la stessa cosa con più forza e più impegno di prima!

Un esempio potrebbe essere quello del tentativo di controllare l’ansia prima di parlare in pubblico: più cerchiamo di controllarla, più l’ansia cresce. O l’impegno ad addormentarsi durante una notte in cui non riusciamo a dormire: più ci impegniamo, meno sarà probabile prendere sonno.

Attenzione: questo meccanismo funziona  nella relazione con noi stessi,  nelle relazioni con gli altri ed anche nell’economia, nella politica…

Questi tentativi di soluzione hanno in comune l’esito di trasformare una difficoltà iniziale, che poteva essere facilmente superata, in un vero problema.


remare più forte non serve se la barca è orientata nella direzione sbagliata

Tentate soluzioni

 
Far coraggio ad una persona depressa ed invitarla a reagire ha spesso un esito simile: quanto più cresce l’impegno nel fare coraggio, tanto più la persona depressa si difenderà da questi inviti e si chiuderà in se stessa.
 
In alcuni casi, abbiamo visto questo meccanismo operare su larga scala, coinvolgendo milioni di persone:
 
distilleria clandestina
Distilleria clandestina
  • Il proibizionismo negli Stati Uniti (1919-1933), nato con il fine di tutelare la salute pubblica, trasformò il problema della diffusione dell’alcolismo in un problema molto più grande, facendo la fortuna di Al Capone e moltiplicando quegli aspetti negativi che si volevano combattere.
  • La corsa agli armamenti durante la guerra fredda: USA e URSS, in quegli anni, vedevano nell’armamento degli avversari una ragione di insicurezza e finivano per risolvere la questione armandosi di più. Naturalmente, l’avversario rispondeva armandosi di più a sua volta, quindi il problema non si era risolto, ma si era rafforzato.
  • Le crisi economiche: allo scopo di diminuire gli effetti della crisi si cerca di spendere di meno, ma le minori spese alimentano la crisi che si voleva risolvere.
Sostanze, cose, strutture o successioni di esperienze desiderate che sono in un certo senso “buone” per l’organismo — regimi alimentari, condizioni di vita, temperatura, divertimenti, sesso e così via —, non sono mai tali che una quantità maggiore di esse sia sempre meglio di una quantità minore. Al contrario, per tutti gli oggetti e le esperienze esiste sempre una quantità con un valore ottimale; al di sopra di esse la variabile diventa tossica, scendere al di sotto di quel valore significa subire una privazione … vi è una quantità ottimale di calcio di cui un dato organismo può avere bisogno nella sua dieta: al di sopra di essa il calcio diventa tossico. Analogamente, per l’ossigeno che respiriamo, per i cibi e per le componenti di una dieta e probabilmente per tutti gli elementi presenti in una relazione, il troppo è nemico del bene. Si può anche soffrire per troppa psicoterapia. Una relazione senza conflitti è noiosa, una relazione con troppi conflitti è tossica: ciò che è desiderabile è una relazione con una quantità ottimale di conflitti. Perfino il denaro, considerato non in sé ma nei suoi effetti su chi lo possiede, può forse, oltre un certo limite, risultare tossico. In ogni caso, la filosofia del denaro, l’insieme dei presupposti secondo cui quanto più denaro si ha tanto meglio si è, è del tutto anti-biologica. (G. Bateson)
 
Quest’ultima osservazione ci fa pensare che anti-biologiche siano anche le premesse su cui ragionano oggi la maggior parte degli economisti, che partono dal presupposto che quanto più c’è crescita economica, tanto meglio è.
 

Watzlawich riporta un esempio di dinamiche di questo genere fra marito e moglie. La moglie ha l’impressione che il marito non sia abbastanza aperto e non le dica che cosa gli passa 
Il troppo è nemico del bene

per la testa né che cosa fa quando è fuori di casa. Di conseguenza cerca di appurarlo, facendogli domande, osservandone il comportamento, e controllandolo in diversi altri modi.

A quel punto lui si sente pressato da tutte queste domande, e si rifiuta di darle informazioni di sorta, di per sé assolutamente innocue e irrilevanti.
Ma questo non funziona, anzi: la soluzione tentata non solo non produce il cambiamento desiderato nel modo di comportarsi della moglie, ma alimenta ulteriormente le preoccupazioni e la diffidenza della donna.

Meno il marito si confida, più la moglie si ostina a cercare di sapere; ma più cerca di sapere, sempre meno sono le cose che lui le dice.

Le soluzioni che hanno tentato per risolvere l’impasse,  in realtà sono il problema.

Assomigliano a due marinai che si sporgono all’indietro ciascuno su un lato di una barca a vela per renderla stabile: quanto più uno si sporge fuoribordo, tanto più l’altro deve sporgersi all’indietro sul lato opposto per compensare l’instabilità che l’altro ha provocato nel tentativo di stabilizzare la barca, mentre la barca di per sé sarebbe perfettamente stabile senza i loro sforzi acrobatici di stabilizzarla.

 

Spesso le nostre “tentate soluzioni”, in realtà, sono il problema, e innescano circoli viziosi come quello descritto. E l’aspetto più critico è che spesso non ci si rende conto di tutto ciò, anzi reputiamo i nostri comportamenti “reazioni naturali” alla situazione.

Questo video di Mauro Scardovelli parla proprio di queste dinamiche, e di come uscirne:

Rovesciare le tentate soluzioni disfunzionali

 
Le “tentate soluzioni”, quando sono vengono applicate sistematicamente, diventano il nostro modello prevalente di reazione della realtà, strutturandosi come veri e propri copioni ricorrenti, che, irrigiditi e replicati in modo non flessibile,  finiscono per risultare dannosi.
 
Un esempio di rovesciamento di tentate soluzioni è il seguente (riportato da Watzlawich):
 
Due coniugi, sposati da poco, avevano il seguente problema: i genitori di lui andavano un po’ troppo spesso a trovarli e cercavano di dirigere la loro vita.
La mamma prendeva possesso della cucina, mettendosi a preparare piatti complicati, scelti da lei; il papà prendeva possesso del garage e del giardino, e faceva un mucchio di lavoretti e modifiche di sua iniziativa. Le loro visite erano molto frequenti, e tendevano a diventarlo sempre di più.
 
Più volte i due coniugi avevano parlato ai suoceri, in coppia o da soli, pregandoli, con molto tatto, di diradare un po’ le loro visite, ma senza risultato.
 
Per un po’ di tempo la coppia era caduta nella trappola del “più di prima”: se parlando e chiedendo non abbiamo ottenuto risultati, facciamolo con più impegno e frequenza di prima! Ma non funzionava.
 

Qual è stata la soluzione? Instradati da un consulente, i due giovani coniugi convocarono i genitori di lui, dicendo loro che nel week end avrebbero fatto una festa, per cui avevano bisogno di aiuto. Chiesero ad entrambi di venire a casa loro dal giovedì pomeriggio alla domenica; alla mamma chiesero di preparare una grande quantità di piatti per moltissimi ospiti, e al papà chiesero di verniciare lo steccato e la saracinesca del garage, di tagliare l’erba e di potare gli alberi.

Dopo questo tour de force, la domenica sera i genitori di lui, stanchi morti, dissero al figlio e alla nuora: “Ragazzi, ormai siete grandi e potete cavarvela da soli, noi siamo anziani e abbiamo bisogno di riposarci di più!”. E dopo quell’episodio diradarono drasticamente le visite.

Rovesciando la tentata soluzione che non aveva funzionato avevano raggiunto il risultato desiderato!

Essere consapevoli di questi meccanismi  può aiutarci ad evitarli, e a ricordarci di variare il nostro comportamento quando non produce gli effetti sperati.

 
Firma BMaria Be BFabrizio

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